Può essere il carcere così duro da negare al detenuto un diritto fondamentale della persona come quello allo studio, sancito perfino dalla Dichiarazione universale dei diritti umani? Vale ancora il principio che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato? Veniamo ai fatti che riguardano Antonio Piromalli, 48 anni, figlio e, per i magistrati, “erede” dell’indiscusso boss Pino Piromalli detto “facciazza”, recluso dal ’99 – che lo avrebbe investito di pieni poteri – e braccio imprenditoriale della cosca tanto da conquistare il controllo del mercato ortofrutticolo di Milano. Condannato a 19 anni e 4 mesi di carcere nel processo “Provvidenza” e attualmente detenuto presso il carcere di Parma dove è sottoposto al “41 bis”, il 13 dicembre ha infatti presentato, attraverso i suoi avvocati poi revocati, un’istanza per iscriversi alla facoltà di Economia e commercio dell’Università di Messina, con possibilità di sostenere gli esami in video. Istanza rigettata dal magistrato di sorveglianza Caterina Aloisi. Piromalli ha quindi presentato reclamo al Tribunale di Sorveglianza di Reggio Emilia. L’udienza si è tenuta ieri mattina, ma per la decisione occorrerà aspettare. Il detenuto, con l’assistenza dei suoi nuovi legali dell’Associazione “GiustItalia” (avvocati Giulio De Rossi e Chiara Missori) e dell’avvocato Francesco Calabrese, sosterrà che il diritto allo studio è un diritto inalienabile dell’uomo e il suo esercizio concreto non è incompatibile con il carcere duro. «A prescindere dalla sua fedina penale – ha dichiarato l’avv. De Rossi – quello che noi contestiamo è che, anche se sottoposto al “41 bis”, ha comunque diritto a studiare come tutte le persone; non avrebbe modo in ogni caso di comunicare con l’esterno. Privare del diritto allo studio una persona è costituzionalmente illegittimo e crea un pericoloso precedente». Tra Antonio e gli avvocati di “GiustItalia” vi è stato un intenso scambio epistolare: «Ci tiene molto – spiega De Rossi – ed è una cosa secondo noi anche apprezzabile, lui vuole in un certo senso un ravvedimento operoso, è un modo per elevarsi culturalmente». Non è la prima volta che un Piromalli divide l’opinione pubblica: nel 1986, il padrino don Peppino, prozio di Antonio, prese la tessera del Partito radicale. All’epoca il leader Marco Pannella commentò: «Anche Piromalli può entrare nel partito che è servizio pubblico».
L'intervento di Klaus Davi
«Leggo da un articolo della Gazzetta del Sud che al boss Antonio Piromalli, che ben conosco visto che ho indagato su di lui e l’ho rincorso sotto casa a Milano ben prima che fosse arrestato (https://www.youtube.com/watch?v=L8KE7_hBYkw), è stato impedito di iscriversi all’Università di Messina per seguire i corsi di economia. Pur nel massimo rispetto della decisione dell’autorità giudiziaria, non capisco perché lo Stato glielo abbia impedito. Piromalli ha 48 anni, trascorrerà molti anni in carcere, se ritiene di impiegarli studiando perché impedirglielo? Penso che lo Stato debba concedergli questa opportunità come accaduto con tanti altri reclusi, come per esempio Franco Coco Trovato che ha conseguito due lauree, per non parlare di Gennaro Pulice, come narro nel mio libro “I killer della ‘Ndrangheta” (Piemme), anche lui con due lauree e detto “Il Professore”. Sappiamo spesso che le carceri sono luoghi di affiliazione e di condivisione fra i detenuti di strategie criminali. Se per una volta uno vuole impiegare il suo tempo diversamente non capisco perché impedirglielo». Lo ha dichiarato il massmediologo e giornalista Klaus Davi. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Reggio Calabria