Si parla da tempo degli anticorpi monoclonali quale reale opzione terapeutica al Covid. Adesso, la svolta è data dall’Agenzia italiana del farmaco che promuove uno studio clinico randomizzato per verificarne la capacità di prevenire lo stato di avanzamento della malattia nei pazienti in fase precoce. «Sicuramente, abbiamo un’arma formidabile con cui limitare la diffusione del virus dalle mucose agli altri organi - esordisce Pierpaolo Correale, immunologo e primario oncologo del Grande Ospedale Metropolitano -. Certo, ora bisognerà capire qual è la popolazione di pazienti a cui indirizzare il farmaco. Probabilmente, se ne gioveranno quelli fortemente sintomatici e con gravi comorbidità: obesi, diabetici, cardiopatici e con polmonite, con patologie multiorgano conclamate. Considerando il costo del farmaco e le difficoltà organizzative, bisognerà fare un rapido sforzo per identificare dei biomarker che predicano il rischio che la malattia evolva (D-dimero, PCR, Carica virale, IL6 ecc)». E in questo nuovo scenario, i pazienti oncologi come si collocano? «Rappresentano un mondo a parte, soprattutto eterogeneo. I pazienti che necessitano di chirurgia, chemioterapia, radioterapia e immunoterapia che contraggono il sarscov2, non possono – asserisce Correale -, aspettare che l’infezione faccia il suo corso, ma necessitano degli anticorpi prima possibile. Rimane il problema organizzativo: dove fare il trattamento e come tenerli in osservazione». Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Reggio