Francesco Manno, presunto boss della 'ndrangheta, è stato scarcerato e sconterà a casa, in detenzione domiciliare nel rispetto di alcune prescrizioni, la sua condanna complessiva a 13 anni e 6 mesi di reclusione per associazione di stampo mafioso e rapina aggravata.
L'ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Milano
Lo ha deciso il Tribunale di Sorveglianza di Milano, con un collegio presieduto da Mariateresa Gandini, che ha contestualmente respinto la sua richiesta di affidamento e differimento dell’esecuzione della pena. «Sono in atti informazioni delle forze dell’ordine - si legge nell’ordinanza - che danno conto dell’appartenenza del soggetto
alla Locale di Pioltello, della frequentazione di pregiudicati, della disponibilità del nucleo familiare ad accoglierlo presso l'abitazione con possibilità di svolgere attività lavorativa come operaio presso una autofficina di Corsico (...) circostanza poco conciliabile con le rappresentate condizioni di salute».
Le prescrizioni imposte a Manno
Il provvedimento riporta che il 60enne, nato a Caulonia in provincia di Reggio Calabria e residente a Pioltello, nel Milanese, ha espiato «integralmente» la sua pena a 9 anni di reclusione per associazione di stampo mafioso nel processo "Infinito", ma è ancora in «esecuzione di condanna» per una rapina aggravata avvenuta sei anni prima, nel 2002. Tra le prescrizioni imposte all’uomo, il divieto di allontanarsi dall’abitazione «fatta salva espressa autorizzazione del magistrato di sorveglianza», il divieto di fare uso di sostanze stupefacenti o di abusare di sostanze alcoliche, di «frequentare pregiudicati, tossicodipendenti, alcol dipendenti, soggetti sottoposti a misure cautelari, di sicurezza o di prevenzione, salvo si tratti di familiari, omettendo altresì di frequentarne gli ambienti».
Si legge ancora nel provvedimento da poco depositato che il collegio di giudici, nel disporre la detenzione domiciliare per Manno, ha tenuto conto dell’"ormai prossimo fine pena», dell’"arco di tempo trascorso dalla commissione del reato di rapina aggravata», dell’"età», e delle sue «patologie croniche invalidanti» che «necessitano di frequenti contatti con i presidi territoriali».
E ha quindi ritenuto che «la restrizione entro le mura domestiche possa costituire nella fattispecie un punto di equilibrio tra le esigenze special- preventive, tenuto conto dei precedenti e del tenore delle informazioni delle forze
dell’ordine» e le «esigenze di cura del soggetto».
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