Si conferma più che solido l'impianto accusatorio dell'operazione “Metameria”, l'indagine della Procura distrettuale antimafia che ha inferto un durissimo colpo alla cosca Barreca che opera nei quartieri dell'estrema periferia sud, Pellaro e Bocale. Il Tribunale della libertà ha rigettato il ricorso avanzato da Filippo Barreca, il capoclan che era ritornato in campo dopo aver usufruito del beneficio degli arresti domiciliari per gravi motivi di salute. Nei confronti di Filippo Barreca, difeso dall'avvocato Lorenzo Gatto, è stata confermata l'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip lo scorso 17 febbraio. A suo carico accuse pesantissime sostenute dai Pubblici ministeri della Direzione distrettuale antimafia reggina, Stefano Musolino, Walter Ignazitto e Giovanni Calamita: era lui il dominus e il leader indiscusso della famiglia mafiosa che porta il suo nome e soprattutto era lui, secondo l'impianto accusatorio, a tirare le fila dell'imposizione del pizzo ad ogni commerciante, imprenditore e operatore economico che era in campo nella sua “locale”.
Il pentito "Checco" Labate
Quadro accusatorio che è stato recentemente rafforzato dal pentimento di Francesco “Checco” Labate, il genero del boss, che ha saltato il fosso proprio nei giorni immediatamente successivi all'arresto in “Metameria”. Tra i tanti temi d'accusa “Checco” Labate si è soffermato gravemente nei confronti di Filippo Barreca: «Mio suocero Filippo Barreca dopo il suo ritorno a Reggio ha ricostruito la cosca Barreca insieme ad altri soggetti a lui fedeli, che in lui riconoscono il capo del sodalizio». Aggiungendo: «Per riavere il controllo del territorio si è rapportato con Carmine De Stefano. Mio suocero si era rivolto a Carmine De Stefano perchè anche grazie ai suoi rapporti con Giuseppe De Stefano aveva stretto un patto con la famiglia De Stefano di cui intendeva ottenere l'esecuzione per recuperare il controllo del territorio. Era mio suocero a stabilire importi e tempistiche dei pagamenti che gli imprenditori sottoposti ad estorsione dovevano effettuare. Mio suocero mi dava indicazioni al riguardo ed io le riportavo a Domenico Calabrò che provvedeva a dare esecuzione alle sue direttive».
Resta in carcere anche Mondello
Resta in carcere anche Giandomenico Condello coinvolto anche lui nell’operazione «Metameria» seppure nella tranche investigativa che si è abbattuta sulla cosca De Stefano. Giandomenico Condello era titolare di un'impresa edile anche se per la Procura distrettuale antimafia era invece uno dei nuovi volto dei capicosca in galera, di Pasquale e Domenico Condello.
Respinto anche il ricorso di De Stefano jr.
Il Tribunale del riesame ha inoltre confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti del boss Paolo Rosario De Stefano, figlio del capobastone defunto Giorgio De Stefano ed in quel periodo referente della famiglia di Archi che domina ancora oggi ogni scenario nel mandamento “Centro”, arrestato a fine febbraio nell’operazione “Nuovo Corso" contro l’omonima cosca di Archi. Un'indagine che ha svelato come fosse finito nel tunnel dell’estorsione anche Francesco Siclari, costruttore tra i più noti di Reggio ed ancora oggi presidente dell’Ance provinciale. Su di lui che in Ati (al 22%) con l’imprenditore di Cirò Marina (al 78%), si era aggiudicato l’appalto del rifacimento del pavimento del Corso Garibaldi si erano concentrate le attenzioni dei De Stefano, la più potente ’ndrina di Reggio. Siclari riuscì solo a temporeggiare, a prendere tempo: poi dovette cedere. Pagando, insieme al socio, 80 mila euro, il 2% dell'appalto da 4 milioni di euro.