La Città Metropolitana di Reggio Calabria ha consegnato, a Villa San Giovanni, un bene confiscato concesso ad uso sociale alla cooperativa «Rose Blu», aderente al presidio dell’associazione antimafia Libera di Villa San Giovanni, intitolato a Giovanni Trecroci, vicesindaco ed assessore ai lavori pubblici di Villa san Giovanni, ucciso nella notte tra il 7 e l’8 febbraio 1990 mentre faceva rientro a casa dopo una riunione del Consiglio comunale. Alla cerimonia di consegna delle chiavi, insieme al sindaco della Città metropolitana Giuseppe Falcomatà, era presente il fondatore e presidente di Libera don Luigi Ciotti. Con loro anche il referente regionale di Libera, don Ennio Stamile, e quello cittadino, Giuseppe Marino, oltre alla referente del presidio di Villa San Giovanni, Laura Barbaro, al presidente della cooperativa «Rose Blu» Domenico Barresi, alla vicesindaca di Villa San Giovanni Maria Grazia Richichi e a Giuseppe Trecroci, figlio di Giovanni, cui è intitolato il presidio villese. «Una giornata intensa e ricca di emozioni - ha detto Falcomatà -. La confisca di un bene alla 'ndrangheta e la successiva riconsegna alla comunità, attraverso una cooperativa che persegue finalità sociali, non sono mai, soprattutto alle nostre latitudini, momenti banali da dare per scontati perché testimoniano in maniera fattiva e concreta che è quello che il vero significato della Legge Rognoni Latorre e dell’intera normativa sul riutilizzo sociale dei beni confiscati, oggi confluita nel testo unico antimafia. Consegniamo questo bene che ritorna finalmente alla collettività, diventando presidio di socialità e di educazione, perché, come ha detto anche don Ciotti ognuno deve sentirsi parte responsabile di un percorso che è prima di tutto educativo, perché è il modo migliore per affermare la giustizia sul nostro territorio». Di «schiaffo alla 'ndrangheta» ha parlato don Ciotti. «La confisca - ha detto - è soprattutto una bonifica culturale e sociale. Restituire un bene alla collettività per usi sociali è uno degli aspetti più importanti del nostro impegno. Dobbiamo sottrarre questi patrimoni frutto di illegalità, di violenza, di traffici e spesso anche di morte, e renderli abitabili, gestibili, funzionanti. Perché rappresentano il potere dei segni contro il potere criminale e mafioso. Questi ragazzi oggi hanno la possibilità di utilizzare un bene confiscato per fare del bene, per accogliere, perché l’accoglienza è la vita che accoglie la vita». (ANSA).
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