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Indagine “Libero mercato”: a Reggio la regola della “messa a posto” per non subire danni e ritorsioni

Nell’indagine “Libero mercato” in evidenza la tecnica mafiosa per imporre il pizzo. Il messaggio agli operai della “Paeco”: «Per oggi prendetevi il fresco Dite al geometra di riferire che deve passare da chi deve passare»

La messa a posto. In tanti angoli di Reggio lo chiamano proprio così, in gergo rigorosamente mafioso, quel passaggio obbligato per imprenditori, commercianti o operatori economici estranei ai contesti mafiosi che tentano di fare business nella nostra Città. La regola, come decine di inchieste del pool antimafia di Reggio ci spiegano da anni, è inequivocabile: pagare la tangente per potere aprire il cantiere, sborsare il pizzo per riuscire ad alzare la saracinesca. In sintesi: serve mettersi a posto con gli emissari dei clan. Studi ed analisi dell’Antimafia alla mano non è comunque pensabile, né sostenibile, che l'odiato pizzo venga imposto a tappeto a Reggio, anche se le percentuali sono mostruose e resta inesorabile quando la gara d'appalto è sostanziosa. Così capitò anche alla “Paeco srl”, l'azienda di Matera impegnata nella riqualificazione del quartiere Ravagnese con l’opera di collegamento viario sulle golene del torrente Sant’Agata essendosi aggiudicata la gara da 3milioni 240mila (oltre Iva). Il dazio della messa a posto riecheggia, inquietante come sempre, con l'indagine “Libero mercato” del sostituto procuratore della Dda di Reggio, Sara Amerio, e dei Carabinieri del Nucleo investigativo.

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