«Un imprenditore mafioso»: con questa accusa la Direzione distrettuale antimafia incastrò, fece arrestare e condannare nel processo “Araba fenice”, Giuseppe Stefano Tito Liuzzo, da anni collaboratore di giustizia ed un passato, per sua stessa ammissione, di costruttore nell’orbita della cosca Rosmini. La sua «intraneità» al clan della cintura urbana sud della città e soprattutto il suo ruolo da imprenditore edile che operava a 360° con la benedizione ed al servizio della ’ndrangheta, “Pino” Liuzzo l'ha ribadito nel processo “Theorema-Roccaforte” nella stessa udienza fiume che ha registrato la presenza all’Aula bunker di una squadra di collaboratori di giustizia. Rispondendo alle domande del Pm antimafia, Walter Ignazitto, ha chiarito come si potesse operare soddisfacendo le richieste delle ’ndrine della “Città”: Liuzzo: io, per esempio, camminavo per nome e per conto di Diego Rosmini classe 1955. Pm: e chi è questo Diego Rosmini classe 1955? Liuzzo: era l'esponente più alto diciamo della famiglia. A parte che eravamo cugini, compare d'anello; era un personaggio apicale. E le persone più apicali della famiglia erano Diego Rosmini senior e junior. Pm: questo Diego Rosmini aveva capacità di interloquire con esponenti anche delle altre famiglie di ’ndrangheta a Reggio? Liuzzo: sì, noi ci incontravamo con tutte le famiglie. A cominciare dagli Stillitano, dai Condello, dai Serraino, dai Libri, dai De Stefano, Tegano, Franco, Labate, di tutto. Tutte le famiglie reggine. Araniti, Iannò. Quindi, di tutte le famiglie. Saraceno, di tutto e di più». Rapporti, ed affari, con chiunque, e rigorosamente secondo le regole mafiose: Pm: quando lei si incontrava con i rappresentanti di queste famiglie... si incontrava a nome della cosca Rosmini? Liuzzo: la maggior parte delle volte, sì. E poi anche avevo rapporti io personali. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Reggio