Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

«Un patto criminale tra le cosche»: così si “spartivano” Brancaleone

La Corte d’appello di Reggio “chiude” il processo Banco Nuovo - Cumps. I giudici: «I lavori di oltre 140mila euro erano controllati dagli africesi. Quelli di importo inferiore potevano essere eseguiti dalle ditte locali»

Corte d'Appello di Reggio

«La Corte ritiene che il complesso delle intercettazioni eseguite sull’autovettura di P.F., come circostanziate dagli accertamenti di polizia giudiziaria, forniscano la prova della operatività, nel periodo di interesse, sul territorio del comune di Brancaleone, di gruppi criminali anche storicamente accertati e riconducibili alle famiglie Palamara - Morabito - Mollica, particolarmente attivi nel settore degli appalti pubblici con un penetrante condizionamento di tipo mafioso esplicato attraverso estorsioni alle imprese esecutrici ed imposizioni di forniture, mezzi meccanici e quant’altro, risultati conseguiti attraverso l’utilizzo di un fortissimo potere di intimidazione». È quanto scrivono i giudici della Corte d’appello di Reggio nelle motivazioni della sentenza del processo di secondo grado scaturito dall’operazione “Banco Nuovo – Cumps” che si è concluso con 10 condanne per 77 anni e 4 mesi di reclusione e 15 assoluzioni.
I magistrati d’appello (presidente Tarzia, consiglieri Bianchi e Ascioti) rilevano: «Le cosche che emergono con particolare chiarezza sono quelle di Africo dei Palamara Bruciati e dei Morabito Larè mentre più sfumata è l’influenza della cosca capeggiata da Saverio Mollica il quale, secondo le risultanze probatorie, è assegnatario esclusivo della zona di Motticella-Bruzzano Zeffirio». Ancora dopo si evidenzia che «dal materiale probatorio in atti è emersa l’effettiva esistenza di una sorta di patto criminale secondo cui, nel territorio di Brancaleone, i lavori di importo superiore ai 140.000 euro erano controllati dalle cosche africesi, essenzialmente dei Palamara e dei Morabito, mentre quelli di importo inferiore potevano essere eseguiti dalle ditte locali».

In definitiva la conferma delle condanne, pur in gran parte rideterminate, va ricercata nelle «numerosissime conversazioni intercettate sull’auto di P.F., tra questi ed i suoi interlocutori, nel loro reciproco intrecciarsi e confermarsi, restituiscono un quadro estremamente chiaro degli equilibri mafiosi esistenti nel periodo in contestazione nel comprensorio di Brancaleone, quadro che, in rapporto alla influenza criminale delle cosche africesi, e aderente alla rappresentazione offerta dal capo 1 della rubrica ed appare correttamente ricostruito nella sentenza di primo grado».

Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Calabria

Caricamento commenti

Commenta la notizia