Una rete fitta e articolata, operante da anni in Lombardia e dedita all’usura e alle estorsioni con il metodo mafioso. L’inchiesta “Atto Finale” della DDA di Brescia, che ha portato nella mattinata di lunedì scorso all’esecuzione di 16 misure cautelari in diverse regioni d’Italia, ha fatto emergere una vera e propria organizzazione criminale imperniata su un meccanismo rodato di vendita del denaro e capace di mettere all’angolo diversi imprenditori del comprensorio bresciano schiacciati dalla crisi del post lock- down. Al vertice della piramide, secondo gli inquirenti, Vincenzo Facchineri, classe ’68, ritenuto «promotore e direttore della struttura criminale, di cui si ritiene capo indiscusso sia per l’individuazione delle gerarchie interne, sia per la pianificazione e la programmazione delle attività criminali». Per Facchineri, dunque, un ruolo di spicco lontano dalla “casa madre” di Cittanova. Un impianto accusatorio accolto solo in parte dal Gip del Tribunale di Brescia Riccardo Moreschi, che se da una parte ha riconosciuto la consistenza del metodo mafioso nello svolgimento delle condotte criminali e la vicinanza dei soggetti coinvolti agli ambienti della ’ndrangheta, dall’altro non ha considerato sufficiente il materiale raccolto dagli inquirenti per dimostrare l’esistenza dell’associazione mafiosa. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Reggio