Tutti assolti con formula piena dopo anche 9 anni di carcere preventivo. La Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza Leonia nata dall'inchiesta della Procura Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria e della Squadra Mobile della Questura reggina che aveva svelato il sistema di infiltrazione della 'ndrangheta nell'allora società mista del Comune di Reggio Calabria che si occupava della raccolta dei rifiuti.
Assolti i componenti della presunta famiglia mafiosa Fontana, per la Dda tra le anime mafiose della roccaforte di Archi. Assolto dall'accusa principale anche l'ex manager Bruno De Caria. Nei suoi confronti sono cadute le accuse più gravi compresa quella di concorso esterno e di aver consentito alle cosche di mettere le mani sulla Leonia. Per De Caria resta un capo di imputazione relativo a un peculato per il quale una nuova sezione della Corte d’Appello dovrà rideterminare la pena.
Il processo «Leonia» è nato da un’inchiesta della Dda di Reggio Calabria che, nel 2012, aveva portato all’arresto di Giovanni Fontana e dei suoi figli Giandomenico, Francesco, Giuseppe Carmelo e Antonino. Per loro la Suprema Corte ha annullato senza rinvio la sentenza di secondo grado emessa nel luglio 2019 quando Giovanni Fontana era stato condannato a 23 anni e 6 mesi di detenzione per associazione a delinquere di stampo mafioso. Ritenuto un esponente di spicco dell’omonima cosca e dopo aver trascorso numerosi anni in carcere per vecchie vicende relative alla seconda guerra di mafia, Fontana era stato arrestato nel 2012. Sono state annullate senza rinvio anche le condanne inflitte dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria ai suoi figli Antonino (16 anni e 6 mesi), Giuseppe Carmelo e Francesco (12 anni e 6 mesi) e Giandomenico (11 anni e 6 mesi). Anche per loro l’accusa era di associazione mafiosa e intestazione fittizia aggravata dall’articolo 7 della legge antimafia. La famiglia Fontana era titolare della società Semac alla quale era stata affidata la manutenzione dei mezzi della Leonia. Secondo gli investigatori, questo avrebbe garantito alla 'ndrangheta un costante flusso di denaro che, per i collaboratori di giustizia, era rappresentava un «fondo cassa» a disposizione delle cosche reggine. La Cassazione ha accolto il ricorso presentato dagli avvocati Francesco Calabrese, Natale Carbone, Manlio Morcella, Bruno Poggio, Pasquale Maraguccio, Vincenzo Gennaro, Salvatore Morabito, Raffaele Manduca e Dario Vannetiello.
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