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De Masi: più Stato in Calabria contro le ’ndrine

L’imprenditore spiega i motivi per cui ha chiesto a Draghi e Mattarella di venire in Calabria Il procuratore Bombardieri: «Sempre dalla parte di chi denuncia seriamente»

Nino De Masi

I Crea, una delle più potenti e feroci cosche di ‘ndrangheta, volevano far saltare in aria lui, l’imprenditore Nino De Masi, una vita sotto scorta, o qualche altro testimone di giustizia, l’ex sindaco di Rizziconi Nino Bartuccio, ad esempio. E' quanto emerso da un’inchiesta che lo scorso 4 ottobre ha portato a diversi arresti. Ma quel che conta non è il nome di chi, bensì la gravità del disegno criminoso. La ‘ndrangheta rialza la testa, nella pericolosa indifferenza della società civile e assenza delle istituzioni centrali. C’è questo e altro nella lettera aperta che lo stesso De Masi ha deciso di scrivere al presidente Mattarella e al Premier Draghi invitandoli a venire in Calabria.

Perché ha sentito l’esigenza di rivolgere un appello a Mattarella e Draghi?

«Rispetto a quanto emerso, che ci riporta ai tempi delle stragi di Palermo, mi sarei aspettato il furore di popolo, la rabbia della gente. Non è successo nulla e io di fronte a uno scenario del genere avevo due opzioni: prostrarmi ai piedi dei miei carnefici chiedendo pietà oppure affrontare lo scontro, loro con le capacità militare, io con i miei valori e principi chiedendo maggiore attenzione allo Stato. Ognuno fa la sua battaglia. Come testimone di giustizia e cittadino ho messo nelle meni dello Stato quello che ho più sacro: la mia vita e quella dei miei familiari rammentando che quando spararono contro la mia azienda 44 colpi di kalashnikov Cafiero De Raho venne a Gioia e disse chi tocca De Masi è guerra. Ecco io vorrei che oggi lo Stato dicesse: “Chi tocca i testimoni di giustizia è guerra”».

Eppure, la convocazione del Comitato provinciale d’ordine e sicurezza a Rizziconi è stato un segnale forte.

«Il sistema istituzionale locale non poteva fare di più di quanto ha fatto ma io sto ponendo un problema di natura diversa. Quella riunione è stata fatta affinché lo Stato parlasse alla comunità ma in quella sala, occupata per circa 60 posti, c’erano più o meno 20 sindaci con rispettivi accompagnatori, non c’era la comunità. Anzi, le persone che erano sedute nella piazza di fronte se ne sono andate, come se avessero voluto prendere le distanze. Il solo pensiero di attaccare le blindate dello Stato è una cosa di una gravità tale che avrebbe dovuto indignare la società civile tutta e far sì che arrivasse lo Stato centrale con la sua forza, autorevolezza e determinazione. Ciò non è avvenuto e non è normale».

Cosa si aspetta da Draghi e Mattarella?

«L’ho detto anche alla Commissione antimafia: in Italia, la lotta alla mafia è passata in secondo piano, nel nome di un’omogeneizzazione delle legislazioni con l’Europa non è più una priorità. Ma noi non siamo come i Paesi Scandinavi. Quando il Procuratore di Reggio dice di non avere organico, quando il presidente del Tribunale sostiene che è vergognoso non realizzare il palazzo di giustizia... è un grido d’allarme che non può rimanere inascoltato. In questa terra, lo Stato sta facendo la sua parte ma quando c’è qualcuno che vuole assaltare le auto della scorta, allora c’è bisogno d’altro. Poi, però, vengono a fare passerella per le commemorazioni ma io non voglio essere un martire ed essere commemorato».

Dalle carte della recente inchiesta Nuova Narcos Europea contro la cosca Molè, intercettato in auto, un presunto affiliato alla ‘ndrina gioiese commentava che a Rizziconi i Crea non le lasciano neanche respirare le persone, imponendo addirittura la guardiania ai proprietari terrieri.

«Che sia così lo dico da sempre. Rizziconi è una comunità che ha normalizzato il male. Io non vivo lì e quello che avevo da dire l’ho detto in Tribunale e ci sono state condanne, ma mi chiedo dove siano le altre vittime, dove sono gli estorti, perché non denunciano? Il sindaco Giovinazzo ha dichiarato pubblicamente di aver ricevuto delle pressioni per impedire l’intestazione di una via a Francesco Maria Inzitari, ucciso dalla ‘ndrangheta. Se questa è la comunità di Rizziconi, comprende che io sono un anomalo?».

Come vanno le sue attività? Ne risentono della sua vita “blindata”?

«Certo, non posso lavorare bene: in azienda sono venuti dei suoi colleghi della Rai e di Mediaset per un’intervista e i militari all’ingresso gli hanno fatto i raggi X. Come fa un agricoltore del posto a venire da me per comprare un macchinario? Vanno altrove perché dicono che da me è pieno di “sbirri”. Io sopravvivo ma ho anche investito molto sulla ricerca e ne raccoglierò i frutti. Ci credo, altrimenti sarei altrove».

Lei ha condotto una lunga battaglia contro lo strapotere delle banche. C’è anche un pezzo di Stato o di sistema di cui aver paura?

«Dagli ultimi documenti depositati a Reggio nel processo “‘ndrangheta stragista” emerge una realtà in cui, ai tempi dei sequestri di persona, i servizi deviati avrebbero collaborato con i clan scambiandosi favori e ottenendo fondi neri. In pratica, una palude, una commistione fra Stato e Antistato. Ci sono inchieste che descrivono quanto, negli anni ’90, le organizzazioni criminali fossero legate mani e piedi con il sistema bancario del territorio. Le “rispettabili” famiglie avevano a linee di credito illimitato. In questo conteso, un fondamentalista come me che ha realizzato degli stabilimenti nell’area di Gioia Tauro senza chiedere il permesso a nessuno a quanti soggetti che governavano quel sistema di ambiguità ha dato fastidio? E io mi chiedo se tutti questi fatti vanno coniugati solo al passato o anche al presente…».

In questo quadro a tinte fosche, come si fa a distinguere tra le diverse sfumature delle casacche che s’indossano?

«Nei primi anni 2000 si sono creati dei miti che camminavano scortati come se fossero degli angeli mentre, col passare del tempo, si è scoperto che erano dei demoni. Io da tutta questa gente, quando non ci ho visto chiaro, sono stato sempre lontano, ho fatto sempre la mia strada. Con le banche sarebbe bastato che io avessi toccato i tasti giusti ma ho preferito risolvere le mie diatribe nelle aule di tribunale».

Cosa si sente di dire agli ‘ndranghetisti che la vorrebbero morto?

«Che non mi farò condizionare da niente e da nessuno: ho scelto di fare l’imprenditore illudendomi di essere un uomo libero, me ne assumo la responsabilità e vado avanti per la mia strada, pronto a pagarne il prezzo. Loro hanno deciso di fare i boss e pagheranno le conseguenze di ciò che fanno».

E ai calabresi perbene?

«Sono tanti, il 99%. A loro dico di essere protagonisti della propria vita, di non aspettare la manna dal cielo. Di avere rispetto per sé stessi, per la propria dignità, di non scendere a compromessi o farsi calpestare da nessuno. Non è un problema di paura ma di mettere al primo posto determinati valori».

Le reazioni

Il procuratore antimafia di Reggio, Giovanni Bombardieri: «Lo Stato, in tutte le sue articolazioni, è sempre stato vicino a De Masi. E la Procura di Reggio sarà sempre dalla parte di De Masi e di chi, come lui, denuncia seriamente».

«Anche noi, come l’imprenditore antindrangheta Antonino De Masi – affermano i deputati M5S Giuseppe d’Ippolito e Paolo Parentela –, chiediamo che il Capo dello Stato e il presidente del Consiglio vangano al più presto in Calabria, per dare un segnale potente alle cosche che credono di poter condizionare lo sviluppo economico della regione con la violenza contro le persone e le regole».

 

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