Prima Mario Gennaro, poi Roberto Moio: “Teganiani” di ferro i due collaboratori di giustizia si sono alternati venerdì sera in Corte d’Assise (presidente Natina Pratticò) sul banco dei testimoni (entrambi citati dalla Procura distrettuale antimafia) nel processo “Giù la testa”, nato dall’indagine che punta a fare luce sull'omicidio di Bruno Ielo, il tabaccaio ed ex carabiniere che secondo l’accusa sarebbe stato ucciso sulla via Nazionale Catona la sera del 25 maggio del 2017 perchè concorrente scomodo rispetto ad una rivendita di tabacchi distante una manciata di centinaia di metri e posizionata tra i quartieri Archi e Gallico.
La sera dell’agguato, a quasi cinque anni dal 25 maggio 2017, Mario Gennaro e Roberto Moio (soprattutto) erano già sotto protezione della Giustizia da anni, abbondantemente fuori dalle dinamiche di ’ndrangheta, e quindi pacificamente all'oscuro di quel delitto che per gli inquirenti è di inequivocabile matrice dolosa. È comunque altrettanto pacifico che la strategia del Pubblico ministero, Stefano Musolino, scegliendo di ascoltare i due collaboratori di giustizia, abbia il fine di inquadrare il contesto ambientale-criminale della zona, il ruolo e la militanza di alcuni degli imputati.
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