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Melito, “ingiusti” i 371 giorni di carcere. Due Ministeri devono risarcirlo

La storia di Filippo Zampaglione accusato di aver ucciso il suocero e poi assolto

Dalla condanna all’ergastolo per omicidio al risarcimento per ingiusta detenzione. Al centro della vicenda giudiziaria Filippo Zampaglione, accusato con la moglie Filomena Liuzzo dell’omicidio del suocero Giuseppe Liuzzo. Questi, il 14 aprile 2010, era stato ucciso mentre si trovava nella sua abitazione di Lazzaro, a Motta San Giovanni. Le indagini avevano portato all’arresto dei coniugi e alla successiva condanna in primo grado. Assistito dall’avvocato Michele Miccoli, Zampaglione aveva fatto ricorso e si era visto ribaltare la decisione in secondo grado “per non aver commesso il fatto”. La Corte d’Assise d’Appello (presidente Muscolo, a latere Campagna), in accoglimento dei rilievi della difesa ha sancito che l’orario della morte non fosse quello indicato nella sentenza di primo grado, e che pertanto l’omicidio fosse avvenuto alle 21.30 «quando nell’appartamento della vittima si trovava altra persona, mentre Zampaglione e sua moglie si trovavano presso la loro abitazione, al telefono». La prova fornita dalla difesa in sede di appello ha consentito di evidenziare «enormi lacune istruttorie e l’inesistenza di qualsivoglia prova che potesse portare ad una condanna degli imputati». Zampaglione e la moglie erano finiti in carcere subito dopo la lettura del dispositivo di condanna di primo grado, in accoglimento della richiesta del pm, scontando 371 giorni di reclusione. A seguito del proscioglimento con formula ampia, in appello, Zampaglione ha chiesto la liquidazione di una somma a titolo di riparazione per ingiusta detenzione, evidenziando come la sentenza emessa in primo grado dalla Corte d’Assise non solo fosse erronea ma affetta da contraddizioni fattuali.

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