Nessuna riconducibilità diretta o specifica, ma agiva all’ombra della ’ndrangheta il cartello di imprese smantellato con l’indagine “Enturage” perchè capace di indirizzare l'aggiudicazione degli appalti pubblici al concorrente favorito in modo da soddisfare le pretese e le aspettative dei promotori dell'organizzazione mafioso-imprenditoriale. Anche questo tema è stato affrontato dalla Corte d’Appello nei motivi della sentenza: «Ad avviso del collegio sussistono, nella specie, gli indici qualificanti il fenomeno associativo, e cioè: la ripetizione dei comportamenti illeciti, come reso palese anche dalla semplice lettura della lunga serie di imputazioni; la replicazione del metodo nel tempo, ovvero nelle singole gare, al punto che il consulente del p.m. è riuscito a “decodificare” il meccanismo in concreto utilizzato per inquinare le gare, secondo un disegno precostituito; l'esistenza di una pur minima organizzazione di mezzi, quale appunto, attraverso il ruolo e competenze infungibili degli imputati, il materiale via via utilizzato per la compilazione delle offerte; per il modo stesso in cui furono consumate le condotte, è possibile desumere l'esistenza di un accordo tra le imprese partecipanti sul fine fraudolento (ad es., sulle percentuali di riduzione delle offerte, sul contenuto delle stesse, sulla disponibilità di atti e documenti delle imprese concorrenti), come fraudolento è apparso lo stesso metodo di compilazione; il lasso temporale di operatività, tale da documentare l'esistenza di uno schema d'azione consolidato nel tempo; la programmazione di nuove condotte, a dimostrazione del carattere aperto del pactum sceleris (le conversazioni in cui venivano commentate le nuove gare da bandire o appena bandite)». Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Reggio