Il nucleo carabinieri ispettorato del lavoro di Reggio Calabria ha dato esecuzione a quattro ordinanze di custodia cautelare (arresti domiciliari), nei confronti di un imprenditore della provincia di Siracusa e di tre “caporali”, due italiani e un tunisino, ritenuti responsabili dello sfruttamento di braccianti agricoli extracomunitari addetti alla raccolta di agrumi nella piana di Gioia Tauro. Contestualmente è stata posta sotto sequestro l’azienda di cui è titolare l’imprenditore.
Il provvedimento, emesso dal Gip del Tribunale di Palmi, su richiesta della locale Procura, diretta dal Procuratore Emanuele Crescenti, trae origine da un’attività investigativa avviata e condotta, nel mese di novembre 2020, dai militari del N.I.L. di Reggio Calabria a seguito della denuncia dei sei braccianti giunti in Calabria dalla Sicilia per raccogliere mandarini.
Le indagini, coordinate da Davide Lucisano, Sostituto Procuratore presso la Procura di Palmi, sono partite dalla puntuale denuncia di un bracciante vittima di questa forma nuova di schiavitù. La circostanza ha consentito ai militari dell’Arma di rassicurare gli altri lavoratori coinvolti e attivarne la fiducia nella giustizia italiana, permettendo dunque di riscontrare il narrato del lavoratore denunciante e di accertare che il “caporale” tunisino reclutava, in Sicilia, braccianti agricoli in profondo stato di bisogno per destinarli nella raccolta dei mandarini nella piana di Gioia Tauro promettendo loro ottimi guadagni. Una volta giunti nella provincia reggina, i braccianti, venivano svegliati alle prime luci dell’alba e accompagnati nelle aziende agricole, dove prestavano la propria opera fino a tarda sera sotto la stretta sorveglianza dei due “caporali” siciliani e la minaccia di licenziamento immediato qualora si fossero ribellati a quelle condizioni di lavoro. Il loro compenso era di appena un euro per ogni cassetta raccolta. Ai lavoratori non venivano forniti nemmeno i previsti dispositivi di protezione, in spregio alle norme sulla sicurezza sui luoghi di lavoro, non garantendo loro nemmeno alcuna forma di prevenzione alla diffusione della pandemia da covid-19. E’ stato denunciato all’autorità giudiziaria anche il gestore della struttura ricettiva di Palmi che aveva omesso di comunicare all’autorità di Pubblica Sicurezza i dati dei braccianti extracomunitari in essa alloggiati.
Decisiva la denuncia del bracciante agricolo
E’ stata una denuncia presentata all’Ispettorato territoriale del lavoro di Reggio Calabria a dare il via all’indagine che questa mattina ha portato a quattro arresti per il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro e al sequestro dell’impresa di uno degli indagati». E' quanto riferisce una nota dell’Ispettorato. "A rivolgersi all’Itl reggino - è detto nella nota - era stato, nel novembre del 2020, un bracciante agricolo straniero, che aveva denunciato lo sfruttamento lavorativo cui era sottoposto da giorni. Il suo racconto era stato subito raccolto dal
personale del Nil dei carabinieri, in collaborazione con i carabinieri della Stazione di Palmi e con i mediatori culturali
Oim impegnati nel progetto SU.PR.EME dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro. Ne era emersa una storia di sfruttamento e di caporalato che partiva dalla Sicilia, dove il bracciante era stato reclutato per lavorare a Rosarno nella raccolta dei mandarini, con la promessa di un contratto e di un guadagno di 50-60 euro al giorno. Una volta sul posto, il bracciante era stato impiegato nella raccolta di agrumi senza alcun contratto, con turni di 10-12 ore al giorno e con una paga, peraltro mai ricevuta, di 80 centesimi a cassetta. E quando aveva rivendicato le spettanze, era stato cacciato via dal caporale». "Dall’Ispettorato era partita una comunicazione di reato destinata alla Procura di Palmi - riporta il comunicato - che ha poi avviato l’indagine, conclusasi con le ordinanze di custodia cautelare eseguite questa mattina».
"Il lavoro svolto dagli ispettori e dai carabinieri del Nil dell’Itl di Reggio Calabria - ha dichiarato il direttore dell’Ispettorato nazionale del Lavoro, Bruno Giordano - ha consentito di avviare un’indagine che ha squarciato il velo su una storia di sfruttamento e di caporalato che dimostra che ci sono ancora imprenditori che considerano i lavoratori alla stregua di schiavi. La fiducia riposta nell’Ispettorato del Lavoro è sempre ben ripagata: chi denuncia sa di trovare personale competente e professionale pronto ad ascoltare e a mettersi all’opera per tutelare i lavoratori».
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