Branca superspecialistica, ad alto tasso di competenze e tecnologie, la Neurochirurgia è uno dei punti di forza del Grande ospedale metropolitano di Reggio Calabria, tra le unità operative che in giro per l’Italia “incassano” giudizi lusinghieri. Con il direttore Mauro Campello, facciamo il punto della situazione post-Covid, partendo dallo zoccolo duro: i viaggi della speranza. - È paradossale ma anche realistico che, a fronte della professionalità dei nostri operatori sanitari e della qualità raggiunta in particolare da alcuni reparti, si continui ad emigrare dalla Calabria per salute. E così, tra quanti fanno questa scelta, rientrano chi accusa patologie neurochirurgiche. «Succede che spesso l’erba del vicino sembri più verde... ma è solo una impressione. Non possiamo nascondere a noi stessi che una parte della mobilità passiva sanitaria è figlia (e anche nipote, a seconda dei casi) della migrazione lavorativa di tante generazioni di calabresi con parenti che si trovano al Nord e spingono per il trasferimento dei loro congiunti. Ma in questi anni, ho avuto modo di verificare che la percentuale di questi casi è significativa ma nemmeno maggioritaria». - Pesano non poco i pregiudizi, che spingono a bypassare completamente l’ospedale e quindi anche le specifiche unità operative. «In quei casi la sfiducia è indirizzata soprattutto nei confronti delle risorse gestionali e nelle dotazioni tecnologiche, quasi che i risultati positivi raggiunti possano essere scomposti in una quota di competenza medica personale e in una quota dovuta all’intorno organizzativo-strumentale. Il discorso è “Mario Rossi è bravo ma l’ospedale Verdi non ha tutte le attrezzature”». Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Reggio