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'Ndrangheta stragista, in aula la difesa di Graviano controbatte al teste dell'accusa

Il tribunale di Reggio Calabria

E’ proseguito nell’aula della Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria (presidente Bruno Muscolo, a latere, Giuliana Campagna) l’udienza del processo «'Ndrangheta stragista» in cui sono imputati il boss del mandamento mafioso di Brancaccio, Giuseppe Graviano, e il capobastone di Melicucco (RC), Rocco Santo Filippone, condannati all’ergastolo in primo grado come mandanti del duplice omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, assassinati nei pressi dello svincolo autostradale di Scilla il 18 gennaio del 1994, episodio inserito nel così detto «periodo delle stragi», deciso da Cosa nostra e da personaggi legati a massonerie spurie e ai servizi deviati, con la collaborazione di alcune famiglie di ndrangheta, nel tentativo di destabilizzare l’ordine democratico nel Paese.

La discussione di oggi si è snodata con il controesame da parte delle difese del vice-questore Michelangelo Di Stefano, in forza alla Dia di Reggio Calabria, incaricato dalla Procura distrettuale antimafia di eseguire alcuni accertamenti probatori. L’avvocato Giuseppe Aloisio, difensore di Giuseppe Graviano, ha richiesto numerose puntualizzazioni al teste, relativamente ai presunti contatti in Costa Azzurra negli anni '90 tra i familiari di Graviano e il pregiudicato reggino Antonio Vittorio Canale, sull'arresto di Nunzia Graviano, sorella dell’imputato, avvenuto a Nizza, dove i Graviano avevano battezzato i loro figli in un lussuoso albergo sulla 'promenade des Anglais', definendo «una suggestione la presunta connessione tra Canale e i Graviano».

Il difensore, inoltre, ha posto numerose domande sulle differenze tra le cosìdette «fonti di prova aperte e gli effettivi riscontri di polizia giudiziaria» in relazione ai coinvolgimenti nel tentativo di golpe Borghese di 'ndrangheta e Cosa nostra, sui presunti colloqui carcerari di Graviano non registrati con elementi dei servizi segreti, sui messaggi tra il carcere e l’esterno scritti con il normografo, per altro, strumento usato anche dalla 'ndrangheta in alcuni sequestri di persona conclusisi nella Locride, come quello di Cesare Casella, studente di Pavia, liberato, dopo 743 giorni di prigionia in Aspromonte, il 30 gennaio del 1990 a Natile di Careri.

La costituzione di parti civili

L’udienza, inoltre, è stata dedicata alla costituzione delle parti civili. Oltre all’Avvocatura dello Stato, la Regione Calabria, e i comuni di Reggio Calabria, Melicucco e Rosarno, hanno presentato istanza i familiari di Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, deceduti, e dei loro colleghi Vincenzo Pasqua e Silvio Riccardo, colpiti il 2 dicembre del 1993 a Reggio Calabria, e di altri due militari, Bartolomeo Musicò e Salvatore Serra, feriti in un agguato il 1 febbraio del 1994, tutti scampati miracolosamente alla morte. Secondo le indagini, le tre azioni terroristico-mafiose contro i carabinieri, parte di un mosaico più vasto della strategia di attacco allo Stato, presentarono caratteristiche comuni: furono eseguiti con la stessa arma, una mitraglietta Beretta M12, e dagli stessi autori materiali, l’ex collaboratore di giustizia Giuseppe Calabrò, nipote di Rocco Santo Filippone, allora appena maggiorenne, e dal collaboratore Consolato Villani, ancora minorenne all’epoca dei gravi fatti di sangue. Il processo riprenderà il prossimo 6 aprile.

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