Dai sospetti alle conferme investigative: era Maurizio Cortese il capo delle giovane leve della cosca Serraino. Proprio dalle indagini che nel settembre 2017 portarono alla cattura dell'allora latitante Maurizio Cortese, scovato dai segugi della “catturandi” della Squadra Mobile e dall'Arma dei Carabinieri in un appartamento insospettabile di viale Europa, che si sviluppa l'indagine “Pedigree”, il colpo in due tranche della Dda che ha stroncato l'ascesa ai vertici del clan di San Sperato del gruppo delle giovani leve. L'intuizione iniziale e i primi spunti di interesse investigativi sono stati svelati ieri in Tribunale da uno dei componenti la task force della Squadra Mobile che ha cooperato all'indagine Pedigree” e alla redazione dell'informativa. Sollecitato dalle domande del Pubblico ministero antimafia, Sara Amerio, l'ispettore della Polizia di Stato ha ricordato le fasi di pedinamento e monitoraggio della schiera dei fiancheggiatori del latitante Maurizio Cortese, i fedelissimi che gli rimasero accanto nel periodo di reclusione, i prestanome che gli consentirono di avviare e gestire numerose attività imprenditoriali e commerciali a Reggio nonostante fosse recluso, le strategie e gli escamotage da lui stesso utilizzati per proseguire a comandare nonostante fosse detenuto. Un monitoraggio e studio di relazioni e collegamenti personali che hanno consentito di mettere a segno “Pedigree”, il doppio colpo alla 'ndrina Serraino e alla cellula degli emergenti che conquistava sempre maggiori spazi non solo nelle storiche aree di influenza criminale – «San Sperato, Modena, Mosorrofa, Arangea e i comuni aspromontani di Cardeto e Santo Stefano in Aspromonte» - ma anche di siglare nuovi rapporti ed alleanze «con esponenti di primo piano delle cosche Labate, Tegano, dei “Ficareddi” e Libri».
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