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Pino Benedetto: così 36 anni fa salvammo la Reggina

Dopo l’arresto del presidente Luca Gallo ripercorriamo la missione della cordata che 36 anni fa mantenne in vita la squadra amaranto. «Sono stanco di vedere la mia città affidata a persone che non l’amano come l’amiamo noi»

Il rischio di un’analogia con i “fatti” che 36 anni fa provocarono la caduta (e poi la rinascita) della Reggina, si coglie nettamente in città. Le amare vicende di fonte romana – culminate giovedì nell’arresto ai domiciliari del presidente Luca Gallo – si mischiano con il timore di un imminente, brutto ricorso storico. Reggina di nuovo nei guai, turbata, dal futuro enigmatico. C’è poco tempo per rimuginarci sopra, iscrizione al prossimo campionato cadetto compresa. Occorre fare in fretta.
Pino Benedetto, lo storico presidente che all’epoca guidò il riscatto con idee moderne, facendo registrare una promozione in B - Nevio Scala in panchina - e una sfiorata Massima Divisione ai rigori, entra subito nel tema. Con parole chiare. E difendendo la Reggina assieme ai suoi tifosi. Si definisce un sognatore, quando gli chiediamo perché entrò nel club. «Un sognatore in esercizio perenne», soggiunge.
Ricorda. «La Reggina era stata affidata allora ad un comitato di saggi nominato dalla politica della città. Un insieme di persone che denotavano spessore culturale, autorevolezza; funzionari apicali dello Stato che assunsero delle responsabilità e ne diedero a un gruppo fuori dai canoni della normalità, per costituire l’embrione del nuovo organismo sportivo. Ricordo che ci trovavamo nello studio di un commercialista, Mario Monastero, unitamente a Lillo Foti in quanto avevamo intenzione di materializzare assieme un’iniziativa economica extrasportiva.

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