Il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha revocato il “carcere duro” a Roberto Pannunzi, detto “Bebè”, condannato con sentenza definitiva per narcotraffico, che sta scontando nel penitenziario di Parma. I giudici romani hanno accolto i reclami presentati dall’avv. Cosimo Albanese, difensore del 74enne Pannunzi originario di Roma ma sidernese di adozione, avverso due decreti ministeriali, il primo del gennaio 2019 l’altro del giugno 2021, entrambi riguardanti la proroga del regime detentivo di “carcere duro” ex art. 41 bis dell’Ordinamento penitenziario.
Il difensore ha sollevato tre diverse questioni, a iniziare dal contrasto delle relazioni sanitarie afferenti lo stato di salute non solo fisico ma anche cognitivo e psicologico in cui versa il Pannunzi. Altro argomento difensivo è quello relativo all’assoluta mancata adesione del 74enne Pannunzi a un’associazione di stampo mafioso, e il fatto che non è stato condannato per reati aggravati da finalità di cui all’ex art. 7 L. n.152 del 1991, e ancora che le ultime condotte criminose risalgono a 20 anni orsono e che, di conseguenza, il “gruppo di riferimento” non può essere rappresentato da associazioni mafiose di cui il Pannunzi non ha mai fatto parte. L’avv. Albanese ha rappresentato ai giudici che Roberto Pannunzi non risulta coinvolto in alcuna delle vicende processuali, posteriori al 2002, che ricadono nel processo “Igres” e, in definitiva vi sarebbe una totale “astrattezza” del pericolo, non rapportato ad alcuna reale potenzialità di trasmissione di ordini a direttive all'esterno del carcere.
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