«Corretta appare la ricostruzione accusatoria che individua gli indagati Riccardo Francesco Cordì, 26 anni di Locri, e Luca Scaramuzzino, 29 anni, di Locri, come i personaggi centrali e al vertice, alla pari di Salvatore Congiusta, 28 anni, di Locri, e Antonio Aversa, 25 anni, di Locri, di un gruppo di soggetti dediti alla commissione di varie fattispecie di reato che avevano, quale principale fonte di reddito, la cessione di sostanze stupefacenti di diversa qualità e quantità. Gli eventi accertati hanno permesso di delineare la presenza nel territorio della città di Locri, di Reggio Calabria e della provincia, di un'organizzazione finalizzata a realizzare una indefinita serie di reati di approvvigionamento e detenzione ai fini di vendita di sostanze stupefacenti, cui sono collegati ulteriori reati commessi contro la persona e il patrimonio». A scriverlo, in un capitolo dell’ordinanza di custodia cautelare (22 in carcere, 7 agli arresti domiciliari e 22 semplici indagati), è stato il gip distrettuale Antonino Foti, firmatario dell’operazione anticrimine “New Generation” scattata all’alba di mercoledì scorso a carico, delle “giovani leve” del clan Cordì. Nella voluminosa inchiesta è stato evidenziato, tra l’altro, «che gli indagati, in diverse circostanze, parlavano di sé stessi come associati, dando anche un nome alla loro associazione». Si definivano “Gang Fragapullo”, dal nome del luogo di occultamento della droga (contrada Fragapullo di Locri); “La banda della Milo rossa”, in ragione dell’auto utilizzata da Antonio Aversa e messa a disposizione degli associati e con evidente riferimento alla ben più famigerata “Banda della Uno bianca”. Oppure “Perché noi siamo uomini di Gomorra! I gomorroidi!», come dichiarato da Antonio Cordì, classe 1997 ad Antonio Aversa in relazione alla nota serie televisiva '“Gomorra”. Ma non è tutto. Per il gip Foti, pure i soprannomi che gli associati si attribuivano erano tratti, in alcuni casi, proprio dalle serie tv incentrate su associazioni per delinquere: «“Cardillo”, soprannome di Antonio Aversa, tratto dalla serie tv “Gomorra“; “Danielino", soprannome del minore G.M., che in "Gomorra" era un giovane meccanico, il quale, affascinato dal mondo perverso della camorra, diveniva un corriere di droga (come, appunto, il minore reggino) in cambio di denaro e merce costosa; “Libano! Libanese” (soprannome dell’arrestato Alberto D’Amico) è un nomignolo che gli indagati hanno tratto dal libro (o, più verosimilmente, dalla sua trasposizione cinematografica o televisiva) “Romanzo Criminale", incentrato sulle vicissitudini della Banda della Magliana». Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Reggio