Il contenuto di una conversazione captata in ambientale del 10 giugno 2021 è alla base dell’asserita identificazione di Paolo Nirta, residente a San Luca, come “fornitore calabrese” del gruppo siciliano che secondo gli investigatori aveva, di fatto, pressoché quasi interamente monopolizzato l’approvvigionamento, nella città di Messina, dello stupefacente del tipo cocaina, che poi veniva spacciato al dettaglio nello stesso capoluogo di provincia, ma anche nel comune di Tortorici, ove è stata accertata l’esistenza di un’autonoma piazza di spaccio gestita da alcuni degli indagati originari della cittadina nebroidea. È quanto emerge dal contenuto dell’ordinanza firmata dal Gip di Messina che è stata eseguita l’altro ieri tra le provincie di Messina, Reggio Calabria e Vibo Valentia nell’ambito dell’operazione denominata “Blanco”. Nel corso del dialogo di interesse investigativo alcuni degli indagati riferivano tra di loro che il soggetto calabrese aveva il padre condannato e che non uscirà più dal carcere («non esce più, fine pena mai»). Gli investigatori hanno riscontrato alcuni elementi che supportano il contenuto intercettivo, richiamando l’attenzione sulle emergenze investigative che contenute all’interno della maxi operazione denominata “Fehida”, con la quale la Procura distrettuale di Reggio Calabria ha evidenziato gli assetti che hanno portato alla ripresa della faida di San Luca tra i Nirta-Strangio e i Pelle-Vottari, che dopo la strage di Natale del 2006 si è trascinata fino al 15 agosto 2007 con l’eccidio di Duisburg. In un altro passaggio della “ambientale” i conversanti evidenziano «tu pensa che il più piccolino, che ha fatto 18 anni, ha voluto a Nico Pandetta», il cantante neomelodico catanese nipote di Salvatore Cappello che si trova detenuto in regime di carcere duro da molto tempo. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Reggio