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'Ndrangheta a Reggio, la scalata degli zingari nelle gerarchie mafiose: esercito di 500 uomini

Processo “Epicentro”: teste il pentito Cristiano

Il tribunale di Reggio Calabria

La scalata degli zingari nelle gerarchie mafiose. Nessuno nella roccaforte Arghillà ad oggi può vantare il rango o il blasone del capo (e nemmeno del luogotenente), ma anche dai temi d’accusa del processo “Epicentro” emerge il dato, sempre più consolidato, che i nomadi stiano guadagnando spazi sempre maggiori nelle relazioni e dinamiche di ’ndrangheta. Tra gli argomenti affrontati nella lunga testimonianza resa in Tribunale collegiale nel processo “Epicentro”, il collaboratore di giustizia Vincenzo “Enzo” Cristiano ha ricostruito il peso della comunità partendo dai propri rapporti personali: «Ho conosciuto a Cocò a casa di un mio amico per un disguido che dovevano rientrare dei soldi a gente di Archi, lui si trovava in compagnia di un ragazzo di Archi, che adesso mi sfugge il cognome, però era uno che frequentava anche Paolo Schimizzi, e in quel momento io e Cocò ci siamo messi a parlare, diciamo, di ’Ndrangheta, e Cocò mi ebbe a dire: “Compare, per adesso c’è schifo in giro là a Catona”, perché non c’era Gianni Rugolino, erano tutti dentro, era, mi pare, l’operazione Meta».

Agguerriti e soprattutto numerosi gli zingari: «Mi ha detto: “Io ho cinquecento uomini battezzati di ’Ndrangheta, li rendo attivi nel momento in cui esce Giovanni Rugolino, prima niente, mi sono ritirato in buon ordine”».
Inevitabile la puntualizzazione del Pubblico ministero: «E innanzitutto andiamo per ordine: Cocò chi è?». Cristiano: «Cocò si chiama Cosimo Morelli. L’ho conosciuto qualche mese prima, così, ma solo una presentazione fugace, poi eravamo a casa di un mio amico e lui era... ecco, adesso ricordo il cognome, con Scarpelli di Archi, che erano venuti a prendersi ‘st’imbasciata di questo che gli doveva dei soldi, e questo mio amico, il padrone di casa, era stato arrestato con il fratello di Morelli, mi pare che si chiama Luigi, e lì... apposta, diciamo, eravamo... ha capito che eravamo tutti amici e si è lasciato andare a questo discorso, che aveva cinquecento uomini, tutti, diciamo, battezzati con la ’Ndrangheta, con il permesso di Rugolino».

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