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Cimitero di Locri, è il tempo delle ruspe: sparite le tombe degli indigenti

Continua a far discutere la gestione della società affidataria del luogo sacro. Un intervento “radicale” di cui si attende di comprendere le ragioni, tra un regolamento antico e un piano regolatore che ancora non c’è

Il sole brillante di un tardo pomeriggio di fine estate crea un gigantesco fascio di luce sui due campi dissodati sui quali troneggia un escavatore cingolato. Ma non siamo in aperta campagna o in un cantiere edile. Siamo al cimitero di Locri che in queste settimane offre il volto più autoritario del suo “new deal” dopo l’affidamento della gestione al consorzio messinese Caes, incaricato di mettere in pratica quell’atto d’indirizzo emanato dalla Giunta comunale con delibera numero 32 del 29 aprile 2019, con il quale si è inteso girare pagina dopo un lungo periodo in cui l’abusivismo e la presenza asfissiante della ‘ndrangheta avevano sottratto il cimitero alla gestione da parte del Comune, come testimoniano le nove pesanti condanne di primo grado a boss e gregari del clan Cordì.
Una presenza, quella del consorzio messinese, che però si è subito “manifestata” nell’aumento generale delle tariffe per tumulazioni, inumazioni e altri servizi cimiteriali, balzate al centro di un vivace dibattito pubblico non ancora sopito, e per l’affissione, lo scorso 19 maggio, di numerosi avvisi con cui i firmatari Santi Calderone (responsabile del consorzio Caes) e il responsabile comunale del settore architetto Nicola Tucci informavano, rispettivamente, i cittadini concessionari di manufatti incompleti nel cimitero comunale (quelli vuoti o con poche sepolture) di provvedere a sistemare/completare/rifinire il manufatto, e ai concessionari di tombe a terra, «alla rimozione – è scritto nell’avviso – di tutte le situazioni di degrado e incuria, cattivo stato di conservazione dei manufatti e a effettuare le operazioni di pulizia di materiale vario e di pulizia in genere» e «al rinnovo della concessione, se scaduta».

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