Il Tar del Lazio ha respinto il ricorso presentato dall’ex sindaco Giuseppe Idà e dai consiglieri della sua maggioranza (Damiano Sorace, Giuseppe Palaia, Antonino Pronestì, Francesca Brilli, Stefano Iannaci, Fabio Oppedisano, Maria Dora Sorrenti) contro il decreto del Presidente della Repubblica di scioglimento del consiglio comunale “per infiltrazioni mafiose”.
Nella sentenza, i giudici romani (presidente Antonino Savo Amodio, consigliere Filippo Maria Tropiano, estensore Matthias Vigiano) rigettano quasi tutte le ragioni addotte dai ricorrenti, ritenendole o immotivate o inammissibili. Ritengono invece le motivazioni alla base del provvedimento di scioglimento assunte dai vari organismi dello Stato (commissione d’accesso, Prefettura, ministero dell’Interno, Consiglio dei ministri) del tutto corrispondenti alla reale situazione in cui versava il Comune di Rosarno, essendo comprovati in atti, comportamenti e azioni, anche attraverso l’ausilio delle intercettazioni telefoniche, gli intrecci tra amministratori ed una consorteria mafiosa, grazie al cui apporto il sindaco Idà e i suoi compagni di cordata si sarebbero spianata la strada per la conquista di Palazzo San Giovanni con promesse e scambi di varia utilità.
I giudici della prima sezione del Tar, insomma, hanno ritenuto del tutto valide la ragioni addotte dalle istituzioni periferiche e centrali dello Stato e pertanto, «alla luce della complessiva infondatezza dei motivi», rigettano il ricorso rimarcando che, tra l’altro, «l’operato dell’amministrazione comunale, contrassegnato da condotte rilevanti, inequivocabili e concrete non poneva in essere quell’opera di vigilanza e controllo dell’apparato burocratico che potesse evitare ingerenze da parte della criminalità organizzata, i cui componenti comunque avevano (anche solo autonomamente) ritenuto comunque di trarre vantaggio dall’esito delle consultazioni elettorali».
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