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Monsignor Morrone si appella alla gente: “Reggio ha bisogno di una politica sana”

L’arcivescovo si rivolge alle coscienze e invita i giovani «a ribellarsi alla rassegnazione e alla mediocrità. Mettere insieme le competenze migliori. Da soli non si va da nessuna parte»»

La parola chiave è “insieme”. Che va declinata con grande “buon senso”. «E solo così Reggio avrà la speranza e la possibilità di rialzarsi», afferma l’arcivescovo Fortunato Morrone. «La situazione di Reggio è difficile, ma un cristiano non può mai perdere la speranza. Quando si parla di futuro di una città o di una comunità si pensa subito ai giovani, e per dare loro un futuro migliore, o meglio un presente di opportunità praticabili qui nel nostro territorio, bisogna mettere da parte l’individualismo e l’egoismo che mortificano tante belle energie e pensare in modo collettivo per favorire la cultura del bene comune – spiega l’arcivescovo –. Bisogna mettere insieme le competenze migliori e lavorare in sinergia. Bisogna parlarsi, conoscersi, ascoltarsi, stimarsi. Solo così si possono mettere a frutto quei piccoli semi che, in seguito, con paziente attesa daranno grandi frutti sperati. Da soli non si va da nessuna parte».
Le parole di mons. Morrone risuonano quasi come un monito alla politica a deporre le armi ideologiche e a lavorare tutti insieme per Reggio. «Non è possibile solo lamentarsi, serve uno sforzo comune da parte di tutti. Auspichiamo una politica dell’ascolto e del dialogo e pertanto dell’inclusione sociale e culturale. A Reggio ho trovato un livello culturale alto e anche tante belle realtà associative solidaristiche credo germinate dall’esperienza della nostra Caritas. Una città orgogliosa, che dovrebbe incanalare la sua sana fierezza per il bene di tutti che non può essere appannaggio di poche famiglie e circoli vari».

Per ridare speranza a Reggio cosa servirebbe?

«Una sana politica che sappia dialogare con tutti e sappia ascoltare le esigenze della gente per una vita più dignitosa, che non si ottiene con promesse sbalorditive e impegni che non possono reggere di fronte alla dura e contraddittoria realtà dell’esistenza che nel locale è condizionato fortemente da fattori globali o da accordi e patti partitici pur legittimi. Il rischio continuo in questa via è di ordine culturale: promesse tamponi sono spreco di energie che alimentano una ben nota mentalità assistenzialista che non aiuta le persone ad essere cittadini attivi. Questa sottile dinamica, in cui con abilità s’inserisce il malaffare, genera o quanto meno alimenta quella subalternità culturale che tanto male fa alla nostra mentalità calabra».

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