Al porto di Gioia Tauro c’era coca e denaro per tutti, inutile scontrarsi. Per questo motivo alle diverse famiglie di ’ndrangheta del territorio stava più che bene una sorta di tacito patto che garantisse in qualche modo di gestire ognuno per i fatti propri gli ingenti traffici con una certa efficacia.
Un ragionamento al quale gli inquirenti che hanno messo a segno la recente maxi operazione contro i narcos e i portuali “infedeli” che facevano fuoriuscire i carichi dalla cinta doganale sono arrivati analizzando l’appartenenza alla ’ndrangheta degli apicali del gruppo criminale.
Tra le carte dell’inchiesta, ad esempio, si evidenzia che Salvatore Copelli è nipote del boss Pino Piromalli ed è stato arrestato nell’ambito dell’operazione “Geolja” in quanto ritenuto capo promotore di una frangia della storica ‘ndrina dei Piromalli. “Mommo” Fazari, invece, negli anni ’90 ha riportato una condanna per aver favorito la latitanza di Luigi Facchineri, capo assoluto dell’omonima cosca, inserito nello speciale elenco dei primi trenta latitanti più pericolosi d’Italia. Ancora, Rocco Iannizi è stato condannato per aver preso parte alla cosca Auddino-Ladini-Petullà di Cinquefrondi, in primo grado addirittura con la qualifica di capo promotore. Domenico Iannaci, nipote dei capi cosca Carmine Alvaro detto “cupertuni” e Giuseppe Alvaro detto “u trappitaru”, è stato condannato quale esponente della stessa cosca Alvaro. Roberto Ficarra ha riportato una condanna quale partecipe alla cosca Gallico di Palmi. Vincenzo La Rosa, infine, è stato colpito da misura cautelare in carcere quale partecipe della cosca Crea di Rizziconi rivestendo nell’ambito di quella ’ndrina un ruolo di assoluta fiducia del boss Teodoro Crea del quale ne aveva curato la latitanza e i summit con esponenti della cosca Piromalli. Il “gotha” della ‘ndrangheta, insomma.
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