«Se conoscevo Mario Audino? Uomo delle cosche. L'abbiamo messo noi lì a San Giovannello e l'abbiamo ammazzato noi. Certo che siamo stati noi e chi altri avrebbe potuto farlo?». La verità di Roberto Moio, storico collaboratore di giustizia dal passato di uomo di fiducia della ’ndrina Tegano (nipote del boss e per sua stessa ammissione collettore delle tangenti per conto dalla famiglia di Archi), ha fatto breccia ieri nel processo “Epicentro”, il filone con rito ordinario che si sta celebrando davanti al Tribunale collegiale. Che l'omicidio di Mario Audino, boss in costante ascesa al rione San Giovannello, possa essere riconducibile ad una decisione intestina allo schieramento “De Stefano-Tegano” lo affermarono “a caldo” i magistrati del pool antimafia e i poliziotti della “Omicidi” della Squadra Mobile che la mattina del 19 dicembre 2003 intervennero sulla “scena del crimine” e presero le redine di un'indagine rognosa quanto delicata. Seppure a quasi 19 anni da quella mattinata di paura e tensione - l'omicidio di Mario Audino era anche di più di un'azione criminale eclatante - hanno fatto rumore le parole pronunciate da Roberto Moio, soldato durante la seconda guerra di ’ndrangheta e colui che gestiva l'incasso del pizzo negli anni in cui la pressione delle cosche su imprese, costruttori e commercianti era più asfissiante rispetto all'attualità.
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