“Seguire i soldi”: la lezione di Giovanni Falcone vale oggi più che mai nella lotta alle mafie, siano esse cosa nostra o ’ndrangheta. Ed è proprio quello che temono le cosche: la ricerca e l’aggressione ai patrimoni illeciti. L’ennesima conferma, qualora fosse persino necessaria, è tra le carte dell’operazione “Radici” messa a segno sull’asse Emilia Romagna-Calabria contro gli affari dei Piromalli di Gioia Tauro e i Mancuso di Limbadi. Trentaquattro in tutto gli indagati, 23 le misure cautelari personali eseguite nelle due regioni con il sequestro di beni per 30 milioni di euro, nei confronti di soggetti, ritenuti appunto vicini ai Piromalli e ai Mancuso, indagati, a vario titolo, per associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta, usura, trasferimento fraudolento di valori, autoriciclaggio, lesioni personali e minacce. Tra i quattro finiti in carcere c’è anche Saverio Serra, ritenuto dagli inquirenti uno degli “organizzatori” dell’associazione sgominata. Ed è proprio lui ad aprire uno spaccato sulle vere preoccupazioni del gruppo parlando, intercettato dagli inquirenti, con il nipote Michele Scrugli, a sua volta figlio di Antonio destinatario di una misura cautelare nell’ambito della maxioperazione antimafia “Rinascita Scott” della Dda di Catanzaro. «Dobbiamo… Dobbiamo stare attenti a come ci muoviamo perché siamo sotto tiro, eh… siamo sotto tiro con “i cati”… con questi non ci vuole nulla a fare dei danni perché poi i problemi sono grossi… non c’entra niente che uno si faccia la galera… perché la galera uno se la fa», dice Serra per poi spiegarsi meglio: «Non è il problema della galera… perché le cose vanno fatte in modo… in modo bravo… lì a me… lì da tuo papà sai cosa mi preoccupa a me? Che la galera se la fa… se la tira… il problema sono i beni». Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Reggio