Pizzo a tappeto in città. Nessuna deroga per costruttori ed imprenditori: ovunque, dal centro storico alle numerose periferie, la regola era semplice e inequivocabile “se vuoi lavorare devi pagare”. Il fenomeno dell'oppressione mafiosa nei confronti di chi allestisce un cantiere è stato ricostruito nel processo “Epicentro” da Francesco Berna, esponente tra le più note ed affermate famiglie di costruttori reggini. In Tribunale (come da verbale di udienza) ha risposto così alle domande del Pm antimafia, Walter Ignazitto: «Può capitare, in pratica, che addirittura le cosche vengono informate addirittura ancora prima che tu apra il cantiere. Cioè, molto spesso, in pratica, non si sa neanche come riescano a farlo, che se tu acquisti un'area in un territorio, può essere in pratica che la cosca viene informata, non si sa neanche come riesce a farlo a sapere prima, e tu vieni avvicinato in pratica dalla cosca di riferimento, e dirti: “Tu devi, se vuoi fare questo lavoro, ci devi pagare il pizzo, altrimenti qua non devi assolutamente avvicinare”. Questo è il modus operandi da parte delle cosche di ‘ndrangheta. Lo fanno, vi posso dire, in modo proprio territoriale, su tutto il territorio di Reggio Calabria, almeno fino a quando ho operato io, lo hanno fatto sempre e dappertutto. Cioè, il modo di operare è questo. Oppure, quando inizi il cantiere, se tu ancora non sei stato avvicinato a monte, vengono direttamente, e prima ancora di... nella fase iniziale del cantiere, si avvicinano, e dicono: “Tu come ti sei... cioè, se vuoi operare, ci devi pagare, altrimenti qua non ti muovi”». Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Reggio