Il progetto è stato approvato nel 2017, seguito negli anni dalla sottoscrizione di due protocolli d’intesa interistituzionali l’idea è quella di potenziare i percorsi della giustizia riparativa. Ma ad oggi ancora l’operazione non è entrata nella fase più concreta. Operazione che aveva riconosciuto un merito alla città dello Stretto, tra le prime in Italia ad aver creato un percorso virtuoso. Un centro per i servizi capace di promuovere attività a tutela delle persone vittime di reati attraverso nuovi modelli di mediazione penale e culturale volti a riparare e prevenire le condotte delittuose e a favorire la risocializzazione dei soggetti provenienti dai circuiti penali. Un istituto il “Mandela’s Office”, non a caso intitolato all’attivista sudafricano per i diritti umani, pensato per favorire progetti di rieducazione dei soggetti provenienti dai circuiti penali tramite iniziative da realizzare a vantaggio della collettività. E poi si era scelta una sede simbolica, un immobile confiscato alla mafia, ristrutturato allora dai detenuti della casa circondariale di Arghillà. Tanti elementi che facevano della sede di via Diana una sperimentazione d’avanguardia. Una stanza di compensazione per promuovere la sicurezza delle comunità. Una ricetta che coniuga lacertezza della pena e tensione rieducativa. Il protocollo d’intesa allora prevedeva una collaborazione tra l’Amministrazione comunale, l’Ufficio del garante dei detenuti, e il ministero della Giustizia. Ma dopo il taglio del nastro, quella sede poco è stata utilizzata. A distanza di quattro anni le istituzioni ci riprovano. Con un nuovo protocollo d’intesa che coinvolge questa volta anche la Città Metropolitana. Un documento sottoscritto nel mese di marzo del 2021. Ma anche questa volta dopo la conferenza di presentazione, nessuna attività pare sia stata avviata. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Reggio