Reggio

Martedì 30 Aprile 2024

Operazione ’Blu notte’, la pace imposta dal boss: “Siamo amici”

“Ti ricordi quel ragazzo di ieri sera?”. “Certo”. “Gli hanno fatto il falò stanotte”. Veramente… e come mai?”. “Invidia”». Potrebbe essere una conversazione qualsiasi quella appena riportata e, invece, è uno dei tanti scambi di sms tra Francesco Benito Pelaia e il cognato Umberto Bellocco cl. ’83, direttamente dal carcere di Lanciano dove quest’ultimo era detenuto. Si tratta di un “pronto avviso” al boss ristretto su quanto accaduto ai danni del fedele sodale Rocco Stilo, al quale era stata incendiata l’autovettura, al culmine di una questione personale sfociata in una prova di forza fra i due rami della cosca riconducibili a Giuseppe Bellocco, padre di Umberto, e Mario Bellocco, padre di Domenico, che aveva autorizzato il danneggiamento perpetrato da William Gregorio, Rocco Restuccia, Antonio Barrese e Giuseppe Gallo. Umberto mostrava di essere particolarmente risentito della questione e lasciava il cognato dicendogli che per i dettagli si sarebbero risentiti dopo, magari approfittando di un momento più tranquillo all’interno del penitenziario. Palaia riferiva al cognato capocosca i soggetti che dovevano essere considerati i responsabili morali dell’offesa arrecata, individuandoli in via principale in Antonio Barrese, alias “Pocket Coffee”, Pietro Giuseppe Bellocco, William Gregorio e Rocco Restuccia. Il boss detenuto, detto “Chiacchiera”, non mancava di far arrivare le sue direttive ai consociati durante lo svolgimento di un summit a casa Palaia. Disposizioni che avevano la forza per poter essere considerate ricevibili e applicabili anche dagli altri rami della famiglia Bellocco. Il capocosca decideva di chiamare direttamente e capire tutte le fasi evolutive della vicenda che aveva visto coinvolto il fedele Rocco Stilo. Chiedeva quindi quale fosse il motivo da cui era scaturita la vicenda: «…Ma perché ci sono state queste discussioni? A parole? Per cazzate?». Scatenare una diatriba interna alla cosca Bellocco avrebbe potuto portare effetti deleteri, per tutte le anime che la componevano; dunque, il boss recluso stabiliva che la questione doveva essere risolta in altra maniera: «Ma non vale la pena... le risolviamo diversamente le cose, non è questo il problema».

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