Reggio

Venerdì 22 Novembre 2024

'Ndrangheta, furto di droga e faida evitata: “Platì non è Rosarno! Lì le persone le tagliano con la motosega”

C’è ’ndrangheta e ’ndrangheta, come dire “paese che vai, cosca che trovi”. E tra Rosarno e Platì ci sarebbero differenze, almeno nell’interpretazione degli affiliati ai Bellocco: andatelo a dire a quelli che volevano fregare i Trimboli e gli Ursino che “siamo tutti amici”. «Là… non è Rosarno… Platì non è Rosarno! A Platì le persone le tagliano con la motosega», dice intercettato non uno qualunque ma Francesco Benito Palaia, cognato del boss detenuto Umberto Bellocco. Lo scenario – ricostruito nell’ordinanza di custodia cautelare dell’operazione antimafia “Blu Notte, scattata all’alba di martedì con 76 arresti tra la Piana di Gioia Tauro e la Lombardia – è quello di un furto di sostanza stupefacente da parte di due rosarnesi. Si tratterebbe di dieci chili di marijuana, valore 25mila euro circa. «Il fratello di uno di quelli che è latitante al Nord sta scendendo qua… Ha detto che si parcheggiano davanti casa… Ha detto vediamo cosa fa vostro fratello… », dice ancora Francesco Benito Palaia quando viene a sapere che responsabile del raggiro sarebbe il fratello Benito, che presentandosi a nome della cosca rosarnese nella Locride sarebbe riuscito a farsi dare anche 500 euro «spendendo il nome del detenuto Ricco Palaia e rappresentando la necessità di contanti per andare a fare i colloqui in carcere»

L’incidente diplomatico

Un bel guaio avrebbero creato Benito Palaia e Pietro Giuseppe Bellocco. «L’umiliazione che ho preso oggi non l’ho presa mai in vita mia», confessa i capocosca. E aggiunge: «Quello che hanno fatto quella sera sono solo da sparare in testa e basta… tutti e due. Perché quelli erano amici di famiglia nostri da trent’anni». A nome dei Bellocco i due avrebbero agito «trafugando della droga – annota la Dda reggina – nei confronti di esponenti della ’ndrangheta della fascia jonica reggina». Un affronto che ha reso inevitabile l’intervento del capocosca Palaia, che informa per telefono il boss detenuto Umberto Bellocco, «al fine di limitare l’imbarazzo a cui tutta la consorteria rosarnese era stata esposta dal comportamento sconsiderato dei due». Iniziano così una serie di riunioni e la contemporanea ricerca dei “colpevoli”, che dapprima non si riescono a trovare. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Reggio Calabria

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