Fronte comune nel nome degli affari. Con gerarchie e margini di autonomia diversi e soprattutto accettando una spartizione dei proventi differenziata in proporzione all’autorevolezza criminale, le ’ndrine della città condividevano l'aggressione al tessuto economico. Nel centro storico, nelle periferie nord e sud della città ed imponendo pizzo e tangenti a commercianti, imprenditori, costruttori: estorsioni a tappeto soprattutto all'indomani della pax mafiosa dei primi anni Novanta. Anche di questo scenario criminale si è discusso davanti al Tribunale collegiale (presidente Silvia Capone, giudici a latere Carla Costantino e Marco Cerfeda) nel processo “Epicentro” con il collaboratore di giustizia Roberto Moio (verbale d'udienza del 21 ottobre scorso). Il pentito, che vanta un lungo passato da luogotenente apicale della cosca Tegano e da collettore delle tangenti per conto del clan di Archi, ha riversato nel dibattimento gran parte del suo vissuto criminale rispondendo alle domande del Pubblico ministero Walter Ignazitto e della presidente del Tribunale collegiale, Silvia Capone.
Tra i temi accusatori di “Epicentro” spiccano proprio le estorsioni in centro città, la condivisione della strategia oppressiva del “direttorio” di ’ndrangheta, ma anche le tensioni tra i vertici delle famiglie De Stefano, Condello, Tegano e Libri.
Presidente Capone: «Quindi, diciamo che Tegano e Audino, a questo punto, spartivano i proventi estorsivi dell'attività edilizia, che veniva consumata». Moio: «Esatto>. Presidente Capone: «Veniva posta in essere anche nel territorio di San Giovannello?». Moio: «Esatto, sì». Presidente Capone: «Okay. E i messaggi che gli Audino portavano, o comunque le comunicazioni che era necessario fare con i Tegano, erano su iniziative comuni?». Moio: «Non tutte, eh! Potevano essere anche roba di politica, non lo so, di qualunque cosa, di qualunque genere, non proprio tutti i lavori, quelle cose, va’!».
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