«Il contenuto delle conversazioni e in particolare la richiesta d’intervento dei Macrì per tentare di prevenire una più grave degenerazione delle frizioni tra le due articolazioni canadesi, che erano sfociate nell'omicidio Verduci, denotano in modo inequivoco il ruolo di vertice del sodalizio ricoperto dal Macrì». È quanto scrivono i giudici della Corte di cassazione nella motivazione della sentenza con cui hanno confermato la condanna a 15 anni di reclusione emessa dalla Corte di appello di Reggio Calabria nei confronti di Vincenzo Macrì, originario di Siderno, figlio del defunto Antonio Macrì soprannominato dagli inquirenti “boss dei due mondi”, condannato per associazione mafiosa è uno stralcio del troncone dell’ordinario di “Acero – Krupy”.
La difesa ha contestato, tra l’altro, «il vizio di motivazione della sentenza impugnata, perché la Corte d’appello non avrebbe indicato gli elementi che avrebbero provato il ruolo dell'imputato quale promotore dell'associazione ‘ndranghetista». Argomentazione, quest’ultima, che viene superata dalla Cassazione ritenendo che «il Macrì non si era limitato a esprimere un'opinione, per come denunciato dalla difesa, ma era stato invitato a recarsi immediatamente in Canada per intervenire sulle due articolazioni della cosca mafiosa di Siderno, facendo così avvertire ai componenti dei gruppi canadesi tutto il peso del proprio ruolo apicale della cosca madre calabrese».
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