Ana Maria Tirnovan aveva appena 24 anni quando il suo corpo è stato rinvenuto in un bagno della casa dove stava scontando gli arresti domiciliari in attesa di giudizio per l’accusa di estorsione in concorso con altre due persone. In quella casa della frazione marina di Grotteria la 24enne di origine rumena ha vissuto gli ultimi momenti della sua vita, conclusa tragicamente il 12 maggio del 2016.
La sua morte è stata archiviata come “suicidio”, ma già nell’immediatezza del fatto la madre, signora Anuta Mititi, attraverso l’avvocato Antonio Russo, aveva sollecitato la Procura di Locri affinché si indagasse a fondo per accertare le cause della morte e verificare una serie di elementi quantomeno dubbi sulla dinamica che avevano portato la giovane perdere la vita. A distanza di 7 anni la famiglia di Ana Maria, ancora tramite l’avvocato Russo, torna a sollecitare la riapertura del caso per avere delle risposte su qual tragico 12 maggio.
«Negli atti procedimentali – scrive l’avv. Russo – si fa riferimento a una impiccagione che non è mai stata accertata e che sarebbe avvenuta con l’impiego di una sciarpa che non è mai stata rinvenuta e che, comunque, non è mai stata sequestrata. E non è mai stata verificata la dinamica del presunto suicidio, ossia come la giovane avrebbe utilizzato l’ipotizzata sciarpa. In buona sostanza – prosegue il legale – non si sa bene come Ana Maria sia morta. L’autopsia non è mai stata effettuata, la sciarpa non mai stata sequestrata, la candeggina che avrebbe ipoteticamente assunto, secondo un testimone mai risentito, non è mai stata rinvenuta, i soggetti che hanno reso dichiarazioni suu fatti non sono mai stati messi a confronto. Tutto questo determina una situazione di oggettiva incertezza, che non è mai stata dipanata compitamente attraverso la fase investigativa».
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