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Gestione disinvolta delle carceri a Reggio: il teste Capparella in controesame

In Tribunale uno dei principali investigatori della Penitenziaria risponderà al collegio di difesa

Il carcere di Arghillà

La parola adesso passa alle difese. Udienza di rilevante importanza quella in programma domani in Tribunale (il collegio è presieduto da Greta Iori, a latere Margherita Berardi e Marco Cerfeda) nel processo per la presunta gestione irregolare delle carceri di Reggio, la casa circondariale “Panzera” di via San Pietro e l'istituto penitenziario di Arghillà. Sul banco degli imputati (con la posizione più delicata e maggiormente gravata da ipotesi di reato) l'ex direttrice, Maria Carmela Longo: secondo i Pm «pur non facendone parte» concorreva con le sue decisioni professionali «al mantenimento e rafforzamento della ’ndrangheta» attraverso l'accoglimento di richieste dei detenuti ristretti presso il “Panzera”, circuito di alta sicurezza, consentendogli «un'illimitata possibilità di circolazione e di comunicazione anche con l'esterno». Ed ancora - proprio nel lungo periodo in cui è stata direttrice, dal 30 maggio 1991 al 18 febbraio 2019 - per gli inquirenti sarebbe stata la dottoressa Longo ad individuare i detenuti da autorizzare all’espletamento del lavoro intramurario e quelli da indicare al Magistrato di Sorveglianza per l'espletamento del lavoro esterno «esclusivamente tra quelli “graditi” ai referenti delle cosche mafiose». Ed inoltre, come si legge nella richiesta di rinvio a giudizio, a determinare «contatti quotidiani tra i lavoranti e i detenuti del circuito AS3 che ricevevano dai primi informazioni provenienti da altri detenuti e dall'esterno», oltre a «beni non consentiti» ed in qualche caso lettere e biglietti.
Con ipotesi di reato più leggere, secondo le contestazioni dei Pubblici ministeri Stefano Musolino e Sabrina Fornaro, in Tribunale anche un medico dipendente Asp, incaricato presso il carcere reggino, Antonio Pollio, per aver redatto un certificato medico attestando falsamente di aver sottoposto a vista medica la detenuta Caterina Napolitano (la terza imputata) diagnosticando “coliche renali” «per evitare che partecipasse come teste a un udienza in Tribunale».

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