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Omicidio Cartisano a Reggio, ecco perché i giudici hanno chiuso il “cold case”

Dalla ferita del killer al sangue riesaminato dopo 30 anni: le motivazioni della Cassazione. «Manifestamente infondato» il ricorso di Zappia contro la condanna Le dichiarazioni dei pentiti «convergono tutte» nella stessa direzione

«Reiterativi» e «manifestamente infondati» i primi quattro motivi, «generici e aspecifici» gli altri: così la Corte di Cassazione bolla il ricorso dei legali di Vincenzino Zappia (reggino classe 1968), per il quale è scattata la condanna definitiva a 30 anni per l’omicidio di Giuseppe Cartisano, avvenuto in pieno centro il 22 aprile 1988. Le motivazioni della sentenza, che chiude l’iter del “cold case” con l’ultimo grado di giudizio, sono state appena depositate. E affrontano una per una, smontandole, le tesi sostenute dalla difesa nel tentativo di far crollare la ricostruzione della Procura antimafia – nello specifico del pm Walter Ignazitto – che a distanza di 32 anni ha fatto luce su uno degli agguati più eclatanti della seconda guerra di ’ndrangheta: lo scontro armato tra il cartello “destefaniano” e i rivali dei Condello-Imerti.

Le indagini

La svolta avvenne con le dichiarazioni di un pentito catanzarese, Antonio Cicciù, che sentito nel processo “Galassia” raccontò di aver sparato nel capoluogo calabrese insieme ai reggini, accanto a Zappia, «lo zoppo che si era salvato dopo aver ammazzato in un bar a Reggio».

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