«L’accusa contro Cosimo Commisso non ha una base solida perché è fondata sulle sabbie mobili di un giudicato di revisione che dopo 26 anni di reclusione lo ha scagionato dalle accuse mosse a suo carico. Commisso non è quell’asserito leader della ‘ndrangheta di Siderno ma è, ad oggi, una persona incensurata e, pertanto, va mandata assolta». È quanto, in sintesi, hanno sostenuto gli avvocati Sandro Furfaro e Francesco Commisso nella discussione al processo scaturito dall’indagine “Core business”, nella quale la Procura distrettuale antimafia, rappresentata dal pm Giovanni Calamita, ha già concluso con la richiesta di condanna del 73enne Commisso a 25 anni di reclusione. Secondo l’ipotesi accusatoria Cosimo Commisso, classe 1950, avrebbe ricoperto un ruolo apicale nella ‘ndrangheta, in particolare quale vertice della consorteria “Commisso” di Siderno, leader riconosciuto sia mentre si trovava detenuto sia dopo la scarcerazione seguita a un processo di revisione davanti alla Corte d’appello di Napoli che lo ha scagionato, in via definitiva, da alcuni omicidi avvenuti nel corso della “faida di Siderno”. Un altro processo di revisione è quello relativo alle accuse di una sua partecipazione alla ‘ndrangheta, sempre nel periodo della faida sidernese che è culminata agli inizi degli anni Novanta: qui in primo grado la Corte di appello di Catanzaro lo ha mandato assolto, pur non avendo ancora depositato le motivazioni. Su queste sentenze di revisione si sono fondate le arringhe degli avvocati Furfaro e Commisso, che hanno evidenziato come già allora si trattasse di processi indiziari, che a distanza di poco più di 2 anni hanno iniziati a disfarsi. Basti pensare che nel novembre del 2001 il Tribunale di sorveglianza di Torino ha revocato a Commisso il regime di carcere duto ex art. 41-bis. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Reggio