Le attività dei mafiosi sui social network rendono «trasparenti» le organizzazioni criminali. E i “rampolli” delle ‘ndrine assumono il ruolo di influencer, difendendo la reputazione del “brand” e allargando le relazioni attraverso la condivisione di contenuti multimediali performanti. Il quadro sempre più allarmante, segnalato più volte sia dal procuratore di Catanzaro Gratteri che da quello di Reggio Bombardieri, emerge dal primo rapporto dal titolo “Le mafie nell’era digitale”, prodotto dalla Fondazione Magna Grecia e presentato nei giorni scorsi a Roma, alla presenza fra gli altri dal direttore della Direzione investigativa antimafia Maurizio Vallone e dall’esperto in materia Antonio Nicaso, docente alla Queen's University (Canada) e componente del comitato scientifico della Fondazione.
Un dossier completo, pagine e pagine di numeri, grafici, tabelle. Si va dagli influencer delle mafie allo stadio sugli emoji, dai tatuaggi al broadcast. L’analisi, partita da un’approfondita raccolta di dati che ha riguardato Wikipedia e i principali social network, Youtube, Facebook, Instagram, Twitter e Tiktok, ha consentito di elaborare alcune tendenze che tracciano la partecipazione e l'intervento di ’ndranghetisti, mafiosi e camorristi, affiliati e simpatizzanti nella sfera digitale. Il ricorso costante è a un’estetica del potere che esalta il lusso, l’onore e il successo dell’organizzazione anche attraverso il ricordo di chi ha dato la vita o di chi ha patito il carcere.
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