Una maratona. Il processo «’ndrangheta Stragista» ha registrato ieri un’altra udienza fiume in Corte d’Assise d’Appello per ricostruire la stagione delle stragi continentali in Calabria, il progetto dei Corleonesi di Totò Riina di allargare agli alleati delle ’ndrine reggine e calabresi gli anni del terrore per ricattare lo Stato che nei primi anni Novanta aveva ribadito la linea del rigore contro le mafie confermando, e addirittura inasprendo, il regime del “41 bis”, e investendo risorse ed energie con i sequestri e le confische dei patrimoni di boss. A Reggio, tra il 1993 e il 1994, quindi nel cuore della stagione della tensione con le bombe fatte esplodere a Roma, Firenze e Milano, le stragi coincisero con gli attentati ai Carabinieri, gli agguati ai servitori dello Stato e culminati con il duplice omicidio dei brigadieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, uccisi in autostrada alle porte dello svincolo di Scilla mentre erano in servizio di pattuglia con la divisa addosso e a bordo di una “Gazzella” con i colori d'istituto. Per la Direzione distrettuale antimafia di Reggio, e specificatamente per il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, gli assalti violenti all’Arma furono il “sì” dei boss calabresi alla richiesta di Cosa nostra sul fronte delle stragi. Come mandanti degli attentati ai Carabinieri sono imputati in Corte d’Assise d’Appello, e già condannati in primo grado alla pena dell'ergastolo, il boss palermitano, capo del mandamento del Brancaccio, Giuseppe Graviano, e «l’uomo di riferimento» della cosca Piromalli, Rocco Santo Filippone.
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