Accoglienza e aiuti di ogni genere, com’è giusto che sia, ma non, come si usa dire, a “mani nude” e quindi senza adeguate strutture logistiche, servizi igienici in numero adeguato all’emergenza, supporto economico e personale di vario genere in grado di gestire varie situazioni. Come del resto si era verificato l’anno scorso (in tutto 87 sbarchi per un totale di oltre 7mila migranti) nel periodo, in particolare, da aprile ad ottobre, al porto di Roccella è tornata l’emergenza migranti. Una fine e un inizio di settimana difficilissimi, di gestione, specie sul piano igienico, quasi impossibile e in cui è stato visto di tutto. Da circa tre anni a questa parte Roccella è diventata la “Lampedusa della Calabria” senza però che al porto, al di là delle solite e goffe promesse – e tali sono sempre rimaste – delle istituzioni governative nazionali, o altrove sia mai esistito o realizzato un vero e proprio hotspot. Tutto il peso, infatti, di questa vera e propria emergenza umanitaria si è prevalentemente riversata sulle spalle, tutt’altro che larghe, del Comune e dei volontari – non più di 15-20 persone quando si è a pieno regime – delle locali associazioni della Croce Rossa e della Protezione civile. Un sacrificio e un salasso, anche sul piano economico visto che il Comune, attingendo ingenti risorse dal proprio bilancio, è costretto ad anticipare elevate somme di denaro. Una situazione, insomma, non più gestibile e attuabile così com’è. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Reggio