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Reggio, è scontro in dibattimento sulla “malagestione” delle carceri

Sul banco degli imputati l’ex direttrice dei due istituti penitenziari della città, Maria Carmela Longo, un medico e una detenuta

Celle condivise con detenuti familiari, con un rapporto di consanguineità, coimputati o appartenenti al medesimo contesto criminale; agevolazioni e corsie preferenziali negli incarichi di lavoro o nelle mansioni di rieducazione sociale durante il periodo di detenzione; persino la cortesia di falsificare un certificato medico che attestasse una colica renale annunciata. Tutte imputazioni, sostenute dai Pubblici ministeri Stefano Musolino e Sabrina Fornaro, al centro del dibattimento davanti al Tribunale collegiale di Reggio per fare luce sugli anni di presunta gestione allegra e disinvolta delle carceri cittadine, la casa circondariale “Panzera” e l'istituto penitenziario “Arghillà”. Temi delicati scanditi da un puntuale vigoroso contraddittorio in Aula.

Un processo mediatico - anche per la parallela indagine a cinque sottufficiali ed agenti della Polizia penitenziaria di Reggio Calabria tutti prosciolti, reintegrati sul posto di lavoro e senza la minima base d'accusa come facilmente desumibile dal provvedimento della Procura che ha chiesto di archiviare tutte le posizioni dopo però 15 mesi vissuti sulla graticola - che vede sul banco degli imputati tre persone: l'ex direttrice delle carceri di Reggio, la dottoressa Maria Carmela Longo; il medico, dipendente dell'Asp, Nicolò Pollio che avrebbe rilasciato il certificato medico riscontrando «il malessere annunciato» della detenuta, Caterina Napolitano, anche lei sotto accusa, che intendeva scansarsi la trasferta in Tribunale a Perugia per rendere una testimonianza che qualche settimana dopo avrebbe comunque effettuato. Pacifico che tra le tre posizioni spicchi quella dell'allora direttrice Maria Carmela Longo (nella fase iniziale colpita dalla misura degli arresti domiciliari). Difesa dall'avvocato Giacomo Iaria del Foro di Reggio la direttrice Longo è gravata da un quadro accusatorio pesante come un macigno.

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