Un carico di cocaina del valore di 800 milioni di euro per un Paese con meno di 3 milioni di abitanti. Gli investigatori non nutrono molti dubbi sul fatto che quella montagna di polvere bianca, intercettata a Gioia Tauro, non fosse destinata all’Armenia, nonostante risultasse come punto finale del carico trasportato dalla portacontainer dall’Ecuador settimane prima. Nel Paese del Caucaso, il carico ci sarebbe dovuto arrivare dopo lo sbarco nel porto georgiano di Batumi e poi muoversi verso altra destinazione.
A spingere verso questa convinzione gli investigatori della Guardia di finanza e dell’Agenzia delle dogane è l’esperienza maturata in anni di studio delle rotte e di contrasto al narcotraffico. Il grande terminal di Gioia Tauro, infatti, è ormai diventato un avamposto non solo nella battaglia al traffico di droga in senso stretto, ma anche nello studio del fenomeno a livello globale.
E a guardare bene, l’ultima operazione eseguita nel grande terminal calabrese non è come tutte le altre. Gli inquirenti, secondo quanto appreso, sarebbero convinti che quel grande carico di cocaina non sarebbe stato gestito dalla ’ndrangheta, né destinato all’Europa, ma a un altro grande mercato degli stupefacenti: la Russia.
L’approdo in Armenia, quindi, sarebbe stato solo un escamotage per cercare una frontiera meno controllata in periodo di guerra per fare giungere in Russia la coca sudamericana.
L’attenzione degli inquirenti nei confronti dell’Armenia è ormai datata nel tempo. Secondo quanto appreso, infatti, i nomi di alcuni personaggi armeni che potrebbero essere legati al narcotraffico o al riciclaggio di denaro sporco erano emersi nei famosi Panama Papers.
Quell’ipotesi investigativa, su una possibile rotta del narcotraffico verso il Paese del Caucaso, sarebbe stata già monitorata da tempo dagli investigatori. E il carico intercettato a Gioia Tauro potrebbe avere confermato i loro sospetti. Su questo punto vige il massimo riserbo sia tra gli investigatori che tra i magistrati della Procura antimafia di Reggio Calabria che stanno eseguendo le indagini.
La Russia, come specificato in diversi studi pubblicati negli ultimi 10 anni, rappresenta un grande mercato per il traffico di cocaina. E già da tempo, secondo quanto appreso nella giornata di ieri, sarebbero emerse notizie su personaggi armeni coinvolti in traffici di droga verso il mercato russo.
Secondo gli investigatori, quindi, la droga sarebbe stata effettivamente diretta all’Armenia, ma non per restarci. Il Paese del Caucaso, ragionano gli inquirenti, è troppo piccolo per poter “assorbire” tutta quella cocaina. Da qui il dubbio che la droga fosse destinata a entrare in qualche modo in Russia. Un assunto che si fonda su una convinzione: tutta quella coca non doveva servire per il mercato europeo, ma si trovava a Gioia Tauro solo in transito. C’è un particolare che lo dimostrerebbe ed è scritto anche nella nota diramata dalla Procura di Reggio Calabria nella giornata di ieri: «La cocaina è stata individuata dopo lunghe e complesse operazioni di ricerca, con l’ausilio di sofisticati scanner in dotazione ad Adm e delle unità cinofile della guardia di finanza e del cane antidroga Joel».
L’occultamento della droga all’interno del box dove è stata trovata, infatti, è troppo accurato. Sarebbe stato davvero complicato riuscire tirarla fuori dal box e scaricarla nel porto calabrese. Allo stesso modo, non ci sarebbe stato neanche il tempo e il modo di fare sparire un container di quelle dimensioni. Metodologia, quest’ultima, usata in passato ma con box di dimensioni inferiori e con la droga sistemata in modo che potesse essere portata via con facilità.
È quasi inutile sottolineare, ancora una volta, il gradissimo lavoro di intelligence che c’è dietro l’ultimo sequestro effettuato ieri. È interessante, però, fare capire quanto sia stato difficile arrivare a individuare quei due box in mezzo a migliaia che vengono lavorati quotidianamente sulle banchine del terminal calabrese.
Il grande carico di cocaina era trasportato su una portacontainer che periodicamente arriva a Gioia Tauro seguendo la rotta dal Sud America. Un transito normale, quindi, ma la cosa particolare è che nella settimana in cui è stata effettuata l’operazione erano previsti a Gioia 10mila container da sbarcare. Un’enormità. Gli investigatori ipotizzano che i trafficanti abbiano pensato che a causa della congestione del terminal sarebbe stato più difficile controllare i due container con la droga a bordo e individuare la coca.
Il sistema di contrasto messo in piedi dalla finanza e dall’Agenzia delle Dogane, quindi, risulta funzionale non solo ai traffici che riguardano la ’ndrangheta. Gioia Tauro è un avamposto di legalità non solo per il nostro Paese, ma di tutti quelli collegati via mare con l’Italia.
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