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Nei terreni agricoli della Piana di Gioia germogliano ancora truffe all’Ue

Nuova raffica di condanne della Corte dei Conti: dovranno restituire le somme percepite. Dai controlli della Guardia di Finanza sulla spesa pubblica saltano fuori agevolazioni a condannati per ’ndrangheta o sorvegliati speciali

Rieccoci. Cambiano i nomi, non l’accusa: le ’ndrine continuano a mettere il cappello sul contributi comunitari nel settore dell’agricoltura. E non cambia neppure il finale, almeno nei casi (forse solo la punta dell’iceberg) scoperti dalla Guardia di Finanza e rimessi alla Corte dei Conti: le somme, che costituiscono danno erariale vanno restituite fino all’ultimo centesimo, con tanto di interessi e spese legali.
L’ultima sentenza della sezione giurisdizionale per la Calabria è di questi giorni. E riguarda otto soggetti (uno solo è stato assolto), tutti della Piana di Gioia e del Vibonese, condannati a seguito «dell’individuazione della indebita percezione di contributi pubblici dei fondi Ue e nazionali, da parte di soggetti indiziati di appartenere alla criminalità organizzata», in quanto «destinatari di misure di prevenzione o condanne».
Il campionario dei responsabili della truffa comunitaria va dal condannato in via definitiva per associazione di tipo mafioso al sorvegliato speciale, per un totale di quasi 50mila euro indebitamente incassati, nel corso degli anni, dall’Arcea.
Il processo contabile fa seguito alla segnalazione trasmessa dalla Compagnia di Gioia Tauro della Guardia di Finanza nell’agosto 2021 «a seguito di specifici controlli in materia di spesa pubblica nazionale e comunitaria». Non c’è dubbio sul dolo, almeno secondo la Procura regionale visto che «i convenuti avevano dichiarato, tra l’altro – si legge nell’atto di citazione – di “non essere sottoposto a pene detentive e/o misure accessorie interdittive o limitative della capacità giuridica e di agire”». Inoltre, la Procura ha annotato che «durante il periodo di detenzione i convenuti non riunivano né i requisiti soggettivi di “agricoltore” né quelli di “agricoltore attivo”». Tesi confermate dal collegio giudicante, secondo cui «emerge senza alcun dubbio una procedura contributiva illegittima fondata su domande presentate da richiedenti privi dei requisiti soggettivi», recita la sentenza.

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