I migranti, prima di imbarcarsi in Turchia, con la ferma intenzione di raggiungere le coste ioniche della Calabria (in particolare il tratto di litorale della Locride), pagano in terra turca il “ticket” più oneroso, ovverosia tra 6 e 10mila euro a testa. Poi, una volta sbarcati in Calabria, come è emerso dalle carte dell’articolata e capillare inchiesta “Parepidemos” scattata, tra Italia, Francia e Germania, ad inizio di settimana, gran parte dei migranti sono costretti a pagare il loro secondo “pedaggio” in modo da potersi assicurare, sempre in modo clandestino, il “trasferimento” in Francia o in altri Paesi europei.
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Il blitz dei Carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria, coordinato dalla Procura reggina, non ha fatto altro che confermare appieno il grande business che ormai ruota attorno, lungo, principalmente, la cosiddetta “rotta turca”, al fenomeno dell’immigrazione clandestina di migliaia e migliaia di profughi, in prevalenza, afghani, iraniani, pakistani, siriani e bengalesi.
Anche se dall’inizio dell’anno sulle coste della Locride, e in particolar modo al porto di Roccella, si sono verificati “arrivi” di migranti provenienti dalla costa della Libia (porto di Tobruk), a gestire, come dimostrato da tante indagini fin qui compiute dalle forze dell’ordine italiane, gran parte del cosiddetto “traffico di esseri umani” verso il Vecchio Continente, era e resta la Turchia, Stato che da anni “dirige e amministra” con gruppi criminali e apparati deviati, militari e non, il milionario business dell’immigrazione clandestina in Italia. È da lì, infatti, che in particolare dai porti di Marmaris, Canakkale e Babakele Bodrum e Smirne che prendono il largo i malandati motopescherecci, vere e proprie “carrette del mare”, e, soprattutto, le centinaia di barche a vela con a bordo i migranti.
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