Il controllo del territorio passava anche dai rituale dei favori e dalla rete di rapporti privilegiati con altre cosche di 'ndrangheta. Nelle motivazioni della sentenza del processo “Cemetery boss” - conclusosi in Appello con due condanne e cinque assoluzioni, escludendo il capo di imputazione principale: associazione mafiosa - un capitolo specifico ha riguardato l'analisi del «controllo del territorio del quartiere Modena e i rapporti con esponenti di altre consorterie». Fatali come sempre i contenuti delle conversazioni intercettate dagli inquirenti: «Emergeva che gli esponenti della cosca Rosmini assicuravano un rigido controllo del territorio di propria competenza». Tra gli episodi cristallizzati negli atti processuali la chiacchierata tra un imputato di “Cemetry boss” e altri presunti esponenti delle cosche cittadine inerenti un incendio di un'autovettura, di matrice dolosa: «Chiedeva se la vittima ipotizzasse il movente dell'azione “ma senti, ma hai saputo niente per il fatto di ... non lo sa? ... non immagina niente, dico? ... ma si è bisticciato con qualcuno?”, e la replica “No, sì, si è bisticciato, ma hanno preso la palla al balzo”»>. Ed ancora: «I rapporti tesi tra la cosca Rosmini e la cosca Zindato inoltre emergevano anche dalla conversazione in cui dopo aver nuovamente manifestato il timore di controlli da parte delle forze dell'ordine, parlava di un dissidio sorto con un soggetto vicino, relativo ad un lavoro edile, consigliando agli interlocutori cli mantenere un atteggiamento distaccato dai componenti della cosca Zindato». Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Reggio