Il 4 novembre 2021 la Cassazione aveva fatto a pezzi l’inchiesta della Dda di Reggio Calabria sulle presunte infiltrazioni della ‘ndrangheta nella società mista del Comune di Reggio Calabria Leonia che, all’epoca dei fatti, si occupava della raccolta dei rifiuti. Dopo le pesanti condanne comminate dalla Corte d’appello di Reggio, gli imputati erano stati tutti assolti con formula piena dai giudici romani. Nella giornata di ieri, invece, la Corte d’appello ha dissequestrato i beni di proprietà dell’imprenditore Giovanni Fontana e dei suoi figli Giandomenico, Francesco, Giuseppe Carmelo e Antonino. I giudici di piazza Castello hanno accolto il ricorso presentato dai legali dei Fontana, gli avvocati Francesco Calabrese, Natale Carbone, Salvatore Morabito, Giovanni Gurnari. I Fontana per la procura antimafia erano figure di spicco del sistema mafioso della roccaforte del quartiere Archi. Un’accusa che la Suprema Corte aveva ribaltato annullando la sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria emessa nel luglio 2019, nella quale Giovanni Fontana era stato condannato a 23 anni e 6 mesi di detenzione per associazione a delinquere di stampo mafioso. Ritenuto un esponente di spicco dell’omonima cosca e dopo aver trascorso numerosi anni in carcere per vecchie vicende relative alla seconda guerra di mafia, Giovanni Fontana era stato arrestato nel 2012. La Cassazione, però, aveva annullato la condanna insieme a quelle inflitte ai suoi figli Antonino (16 anni e 6 mesi), Giuseppe Carmelo e Francesco (12 anni e 6 mesi) e Giandomenico (11 anni e 6 mesi). Anche per loro l’accusa era di associazione mafiosa e intestazione fittizia aggravata dall’articolo 7 della legge antimafia. La famiglia Fontana era titolare della società Semac alla quale era stata affidata la manutenzione dei mezzi della Leonia. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Reggio