«Mio figlio sarà finito in “un brutto giro”»: è disperata una giovane madre quando si presenta ai Carabinieri nel settembre 2017 «in evidente stato di agitazione» per segnalare che il figlio, appena tredicenne, era finito nelle grinfie di una gang di spacciatori del quartiere Sbarre «ed era stato vittima di un sequestro di persona a scopo di estorsione a causa di un debito di droga». Come rimarca il Gup nelle motivazioni della sentenza “Sbarre” nasce proprio da questo input l’indagine che incastrerà i due gruppi criminali che monopolizzavano le piazze dello spaccio negli ex rioni Guarna e Caridi e sul viale Calabria: «In ragione di quanto appreso, le Forze dell'ordine convocavano la presunta vittima la quale, affermando di nutrire un profondo timore per la propria incolumità e per quella dei suoi familiari, spontaneamente dichiarava di fare uso di droghe leggere e di essere avvezzo alla commissione di piccoli furti e di qualche danneggiamento a mezzo incendio. La frequentazione di contesti di micro criminalità in cui si muoveva, nonostante la tenera età, con estrema destrezza, lo avevano portato a stare a stretto contatto con gli spacciatori del rione e a conoscerne le abitudini. Seguendo i loro movimenti in occasione delle singole cessioni, il piccolo ma astuto aveva, quindi, intuito i nascondigli in cui i suoi pusher occultavano la droga. Questa attività di monitoraggio, gli aveva consentito di scovare, in particolare, un quantitativo di droga di cui si era impossessato, unitamente all'amico, all'insaputa dei "proprietari" e che aveva poi rivenduto».
Una “bravata” che però pagherà a caro prezzo, rischiando anche la vita: «Senonché il goliardico gesto lo esponeva a conseguenze molto gravi. Ed invero, il nascondiglio era presidiato da un sistema di videosorveglianza che incastrava il minorenne, il quale, prontamente individuato, veniva adescato, violentemente aggredito e sequestrato al fine di riottenere quanto rubato. La sua liberazione, dopo essere stato malmenato brutalmente e sottoposto a varie forme di sevizie, era possibile grazie all'intermediazione di uno dei capi dell'organizzazione che si assumeva la responsabilità di ripianare il debito, fungendo da garante».
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