«Uno “stato” all’interno dello Stato». Uno “stato”, quindi, in grado di «controllare totalmente il territorio e amministrare la giustizia». È così, tra le centinaia di pagine dell’articolata ordinanza di custodia cautelare, che il gip del Tribunale di Reggio Calabria, Antonino Foti, “fotografa”, il ruolo, i movimenti, gli interessi leciti e illeciti e le alleanze con altre “famiglie” del comprensorio, dell’organizzato, ramificato e determinato presunto clan Scali-Callà di Mammola, duramente colpito all’alba di martedì scorso dall’operazione anticrimine “Malea” compiuta a largo raggio dalla Polizia di Stato di Reggio e in particolare dagli investigatori della Squadra Mobile reggina. Un blitz coordinato dalla Direzione distrettuale antimafiia da della città dello Stretto e in particolare dal procuratore capo, Giovanni Bombardieri e dall’aggiunto, Giuseppe Lombardo.
A finire nelle maglie della vasta operazione anticrimine sono stati, secondo quanto evidenziato dagli investigatori della Polizia di Stato e dai magistrati antimafia reggini, i “vertici” del clan mammolese. Al comando del clan vi sarebbero il “capo locale” Rodolfo Scali, 58 anni, già coinvolto in passato nelle indagini “Prima Luce”, “Crimine” e “Minotauro”, il cognato di quest’ultimo, il “capo società”, Damiano Abbate, 60 anni, e il “detentore” del ruolo di “crimine”, Isodoro Cosimo Callà, 65 anni. L’inchiesta ha pure acceso i riflettori sulle presunte proiezioni della “locale” di Mammola all’estero, in Lussemburgo, dove risiedono stabilmente e sono stati arrestati alcuni degli indagati. In particolare, il referente del gruppo in Lussemburgo sarebbe stato Nicodemo Fiorenzi, 63 anni.
Secondo quanto ha scritto il gip reggino nella sua ordinanza, «il controllo del territorio si esplicava anche in relazione a qualsiasi attività economica lecitamente intrapresa da terzi nella porzione territoriale di loro competenza; così, ad esempio, in virtù di una conversazione captata, a luglio del 2017, dagli investigatori della Polizia di Stato, Damiano Abbate, avendo appreso da tale Matteo che una ditta (non meglio identificata) si era aggiudicata un appalto, per un importo di 80mila euro, avente ad oggetto lavori di rifacimento di una chiesa di Mammola, riferiva la circostanza a Rodolfo Scali al fine di pianificare con lo stesso una attività estorsiva (“Ti hanno detto qualcosa?... noi non siamo nulla?”)».
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